Economia in crisi: troppo assistenzialismo senza reale promozione
di Paolo Lingua
La polemica scoppiata sui cinque deputati “furbetti” ha suscitato vesti strappate e giudizi sdegnati, facendo rialzare – purtroppo – il “mal di pancia” di chi sostiene la cosiddetta “antipolitica”. I “furbetti” non meritano nessuna scusa anche per il loro ruolo pubblico, ma si è capito che chi ha approfittato dei bonus statali senza averne la reale necessità economica è un popolo assai più numeroso. E la responsabilità indiretta è del legislatore che non ha posto freni e limiti. E’ fin troppo ovvio che, ancora una volta, la cosiddetta “politica” (al potere) ha cercato il consenso a tutti i costi, nel quadro d’un momento obiettivamente difficile a causa del coronavirus. La vicenda in corso andrà avanti ancora per un po’, approfittando anche del periodo feriale e della vigilia del voto del 20 settembre.
Ma, al di à delle polemiche strumentali tra maggioranza e opposizione (e di quelle non meno insidiose, all’interno della maggioranza che si tiene unita con i denti), emerge un aspetto che caratterizza i limiti dell’azione di governo e che si riferisce ad alcuni aspetti peculiari del decreto economico partorito in questi giorni. A leggerlo in controluce si intuisce che si punta – anche giustamente, sia chiaro – a venire in aiuto di chi rischia di perdere il lavoro e di chi rischia di perdere i benefici della cassa integrazione. Ancora una volta, e quasi certamente su una forte spinta politica del M5s, si è puntato a favorire il Mezzogiorno. Ma, al tempo stesso, non sono emersi dai piani del governo modelli di sviluppo – non importa se Nord o Sud – legati alla produzione, al mercato, ai servizi in modo da dare uno slancio produttivo all’interno Paese.
Non è con l’assistenzialismo, a sua volta necessario e sovente indispensabile, che si fa riprendere l’economia. Nessun grande Paese dell’Occidente esaurisce le sue risorse in queste forme di beneficenza statalistica, di vago sapore clientelare. Purtroppo però, anche quando, sia pure per ora sulla carta, è decollato il “recovery found” europeo sono emersi progetti concreti da mettere a punto e da far decollare appena fosse stato possibile ricevere materialmente i finanziamenti. Non è possibile arzigogolare progetti astratti e generali senza capire che occorre mettere in fila le operazioni più rapide possibili, in particolare le opere pubbliche con una forte funzione di servizio e iniziare ad aprire i cantieri introducendo procedure nuove che se non sono la fotocopia debbono assomigliare al “modello Genova”.
Ci sono tagli drastici alle foreste di leggi e leggine e occorrono procedure che rendano rapidi i bandi e che, una volta assegnati, non li mettano a rischio di infiniti ricorsi. Insomma: occorre scavalcare tutto quello che ha bloccato da anni la ripresa italiana. Proviamo a fare dei modesti esempi? Il governo francese ha ripreso in mano, giudicandola necessaria, la linea di alta velocità Torino – Lione, la famosa Tav. Giuseppe Conte non può stare a sentire i continui piagnucolii del grillini. Deve dare una spallata e riprendere il progetto che , alla fin dei conti, è un passaggio necessario per poi unire Torino con Milano e poi Milano con Venezia e Trieste. Lo stesso discorso vale per la “piccola” Gronda ligure.
Esiste un progetto e una previsione di costo. Inutile perdere tempo. Lo steso vale per tanti altri progetti italiani di alta velocità ferroviaria e di riassetto e di po0tenziamento delle autostrade. Per tornare a un tema caro alla Liguria, ma che riguarda anche altri scali strategici, ci sono urgenze per i grandi lavori dei porti, che avrebbero bisogno per la loro gestione di ulteriori riforme di modernizzazione e di velocizzazione. Francamente, sia detto senza alcuna malignità, è veramente una proposta ferragostana inventarsi il tunnel sotto lo stretto di Messina, rimuovendo il modello del ponte. Edel tunnel non c’è neppure il disegno e, francamente, lascia il tempo che trova. A Genova, ma ormai ce ne siamo dimenticati, esisteva il progetto d’un tunnel sotto il porto per alleggerire il traffico. Esisteva anche una sorta di ufficio. Chissà che fine a fatto: è passato di moda e nessuno ne parla più. Ma, per il bene dell’Italia, occorrerebbe abbandonare il bla-bla e pensare seriamente al da farsi. I tempi stringono.
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