Sampdoria, una vergogna senza fine. Ora in ginocchio da Ranieri o una retrocessione dignitosa

di Claudio Mangini

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Sampdoria, una vergogna senza fine. Ora in ginocchio da Ranieri o una retrocessione dignitosa

I lampeggianti dei mezzi delle forze dell’ordine che colpiscono il profilo dell’AC Hotel di Corso Europa, sede dei ritiri della Sampdoria, disegnano il lugubre scenario di un Halloween calcistico differito di un paio di settimane. Ma qui non c’è né scherzetto né dolcetto: c’è solo l’amaro in bocca e la rabbia dei tifosi sampdoriani per lo scempio a cui da troppo tempo stanno, stiamo, assistendo. Il punto più basso della storia sampdoriana da una quarantina d’anni e oltre, dall’avvento di Paolo Mantovani a oggi, uno dei più brutti in assoluto. Perché c’è modo e modo di affondare. Si può fare con dignità, se non con eroismo, oppure in questo modo: fuor di metafora, consegnandosi, partita dopo partita, agli avversari. Quattro le sconfitte in successione. Ed è questo che fa attorcigliare le budella ai sampdoriani. E, paradossalmente ma senza dubbio, non è questione di impegno e neppure di tattica: i giocatori ci provano, stanno in partita 10 minuti o un tempo intero; poi, alla prima incrinatura degli equilibri fragilissimi, arriva il gol e l’incapacità di reagire. Perché la squadra non ha la forza morale per farlo e tantomeno il potenziale offensivo. Il modulo? Quello visto contro il Lecce, probabilmente, è il più equilibrato fra quelli provati dal tecnico attuale. Ma, come avevamo scritto la scorsa settimana, non è questione di moduli o di allenatori (per quanto qui il discorso meriti un approfondimento: Stankovic, al di là del suo impegno e della sua grinta, era una soluzione a rischio, e lo si sapeva fin dall’inizio), bensì di materiale umano. E alla caratura modesta di valori si abbina, ora, una crisi di fiducia e autostima che ha tolto ogni certezza e ogni capacità di reazione a questa squadra.

I problemi, però, nascono a monte, come le pesanti responsabilità. Una catena lunga, con pochissime attenuanti, che hanno portato la Sampdoria nella situazione attuale. A cominciare dalla madre di tutte le scelte errate: un presidente figlio di una famiglia che aveva a suo tempo salvato la Sampdoria che affida la società a un personaggio che contrappunta il suo ingresso nella Sampdoria con il fallimento di una compagnia aerea di cui è azionista. Parliamo, ovviamente, di Edoardo Garrone e della scelta di passare la Sampdoria nelle mani di Massimo Ferrero. Il quale Ferrero, peraltro, dopo anni discreti sul campo e dopo essersi concesso un lauto stipendio annuale, lega la Sampdoria a un intreccio maligno con le sue società extra calcio rendendola ostaggio di un altro fallimento. Siamo all’altro ieri: ci mette la faccia e tanta buona volontà Marco Lanna, che riesce a ricucire il rapporto con la tifoseria, ma in società ci sono divisioni, correnti, equivoci, che non vengono risolti. In flash back siamo a un anno fa: dopo che D’Aversa (alla guida di una squadra impoverita) ha pagato per tutti, torna Giampaolo e riesce, anche con fortuna – inutile negarlo – a salvare la Sampdoria. Da lì è cronaca: la Sampdoria del doppio manager partorisce, in ristrettezze economiche, una campagna acquisti infarcita di errori macroscopici (doppioni e ruoli scoperti), anche con la complicità del tecnico (vedi caso Candreva). Salta anche Giampaolo. Arriva Dejan Stankovic e ci prova in tutti in modi, ma riesce solo a trasformare la squadra meno fallosa del campionato in una che fa collezione di cartellini. Amen.

Ora la Sampdoria è al bivio. Detto brutalmente: credere che si possa ancora tenere accesa la fiammella della speranza o scendere in B nel modo più dignitoso possibile. Sei punti in 15 partite sono un bilancio traumatico, ma c’è l’anomalia di un campionato che si ferma per quasi due mesi, praticamente una nuova stagione breve, di sole 23 partite, da giocare. Nuova preparazione, potendo nuovi giocatori, possibilità di mandare a monte la partita attuale e cambiare un destino che sembra segnato.

Ma per crederci serve fare chiarezza – totale – su alcuni punti. Primo, fondamentale: c’è una possibilità anche minima che Ferrero torni al comando dopo il periodo d’inibizione che scade a inizio dicembre? Secondo: c’è la possibilità – vera, reale e concreta – dell’avvento di una nuova proprietà, sia essa il miraggio Al Thani, un fondo anglo-americano o, più semplicemente, il ritorno al comando di Garrone, con un’assunzione di responsabilità nell’emergenza, a suo tempo esplicitamente dichiarata? Perché, se Ferrero, resta dietro una porta chiusa e, magari, arrivano soldi freschi, ci sono due sole cose da fare: andare in ginocchio a chiedere a Claudio Ranieri di tornare e preparare una campagna acquisti invernale che deve essere drastica e spietata, salvare quelli che combattono e hanno la forza di farlo (Audero, Gabbiadini e anche il qualche volta troppo duro ma generosissimo Amione, per cominciare) e provare a fare quello che fece la Salernitana l’anno scorso. Altrimenti, senza una cospicua iniezione di denaro e di forze sane in campo (e pure nella catena di comando in società), si dovrà solo decidere a quale dei tre tecnici a libro paga affidare la seconda parte del campionato, dare il sangue a ogni partita sperando nel miracolo ma verosimilmente prepararsi a una retrocessione quasi inevitabile e, intanto, pensare a programmare già l’anno prossimo. Brutto da dire? Spiacevole? Sì, ma vero.