Sampdoria in B, pesa (anche) quel "no" di Ranieri "perché in società c'è ancora Ferrero"
di Claudio Mangini
L'agonia è finita. Una montagna di colpe ed errori su cui riflettere, ma il club va salvato a ogni costo
Si può dire finalmente quando la tua squadra del cuore raggiunge il momento della matematica certezza che non c’è più nulla da fare e la retrocessione è cosa fatta? Probabilmente lo hanno detto in molti, fra i sampdoriani, al termine di Udinese-Sampdoria. E non certo per disamore, ma per una sorta di liberazione da uno stillicidio di delusioni, da una sorta di agonia calcistica che vedeva il destino negativo scritto ormai da troppe settimane.
È andata come si temeva fino a un bel po’ di tempo fa e come si sapeva da parecchio. L’ultima partita, alla Dacia Arena, consegna alle cronache un copione già visto. Un approccio di buona volontà, l’applicazione individuale, il compitino fatto tra paura di sbagliare e paura di osare e, troppo presto il crack. Ravaglia ha tenuto la barca sopra la linea di galleggiamento mentre l’Udinese sfiorava occasioni. Poi il bis, il palo di Gabbiadini, molte occasioni tardive. E un’altra sconfitta di una squadra che, ormai, ha perso da tempo la fiducia in se stessa. In tutto ciò una sola piccola collezione di immagini da temere a mente: le giocate del Capitano Quagliarella tornato in campo con la sua classe e la sua voglia. Tocchi al volo a cercare di mettere in moto il compagno, giocate di prima a confermare che la classe è sempre quella, frenata solo, purtroppo, dalla carta d’identità. E ad aggiungere altri rimpianti a una lista già molto lunga: forse, nelle ultime settimane, il vecchio Fabio avrebbe potuto trovare più spazio in campo al posto dell’inconcludente Lammers. Ma questo si aggiunge a una lista di errori a tutti i livelli, torti, bivii mai imbucati nella direzione giusta che hanno finito per rendere questa stagione impervia come la scalata di un Ottomila.
«Ci sono tanti rimpianti, perché nonostante tutte le difficoltà e gli errori arbitrali dalla partita di Empoli in poi, se avessimo battuto la Cremonese avremmo poi giocato le gare successive con un altro spirito, così da rimanere ancora aggrappati al treno salvezza». Sono le parole del presidente Marco Lanna, sampdoriano vero, e non si può che condividere. Una vittoria andata in pezzi nei minuti finali, quella contro la Cremonese dell’8 aprile, e l’ultima, grandissima, opportunità di svoltare il proprio destino che sfuma e sfibra ogni volontà del gruppo di Stankovic di portare a termine la missione salvezza.
Errori, e sfighe, torti subiti e harakiri sul campo. Con a monte scelte sbagliate. E, ancora più a monte, una crisi societaria gravissima, il tracollo della gestione Ferrero, la massa di debiti. Si potrebbe partire, per restare alle scelte tecniche recenti, al casting infinito di due estati fa, che alla fine partorì la scelta di D’Aversa, poi passato – ricordate il no di Italiano? – da parte di Ferrero come “la prima scelta”. Poi il Giampaolo bis, mai sbocciato e salvato dal Derby di Audero e da una buona dose di fortuna. Siamo alla scorsa estate, a una situazione societaria già da allarme rosso, al caos del doppio direttore sportivo risolto con un compromesso, a una campagna acquisti condizionata dall’obbligo di ridurre i costi e monetizzare: via Damsgaard inevitabilmente, via Thorsby, peraltro venduto sottocosto, via Candreva (grandissimo protagonista di due terzi della stagione precedente) per l’ingaggio troppo alto e il feeling con Giampaolo troppo basso. E fiducia a Quagliarella nonostante l’età, via Bonazzoli anche qui per una questione di ingaggio alto e basso livello di armonia nello spogliatoio. E la scommessa De Luca, fermato subito da un infortunio per tutta la stagione. Ma, davanti, neanche un centravanti vero.
Il resto è storia recente. Due punti in 8 partite, Claudio Ranieri quasi sulla panchina blucerchiata e poi il no, «perché in società c’è ancora Ferrero»: effetto Viperetta. E la scelta cade su Stankovic che piaceva proprio a Ferrero, ma questo non importa. Stankovic ci mette il cuore e la grinta, ma all’inizio raccoglie solo cartellini gialli per eccesso di foga dei suoi uomini in campo. Poi, dopo la sosta, con un mercato fatto necessariamente a costo zero, e anzi per ridurre ancora il monte ingaggi, la Samp riparte, trova Winks, la grinta di Nuytink, i chilometri sulla fascia di Zanoli, purtroppo non un centravanti, e trova compattezza, voglia di combattere, di provarci. La Samp trova la forza di andare contro la zavorra enorme di una crisi societaria che non può non pesare. La frenano altri torti arbitrali (la lista è lunga, cominciata alla prima di campionato contro l’Atalanta), altre occasioni non sfruttate, altri errori anche di Stankovic nella gestione delle gare e nei cambi. Poi, la Cremonese, la resa mentale. La compattezza e la voglia di provarci che si sbriciolano. E, oggi, probabilmente, molti pensano già al proprio futuro lontano da Genova.
Punto e a capo, e ora bisognerebbe solo pensare a ripartire, a un nuovo progetto, a una risalita immediata. Ai pochi che restano e ai tanti da comprare. Servirebbe una proprietà affidabile, una linea di comando precisa, un allenatore sicuro per il compito non facile che gli verrà assegnato. Basta equivoci. Servirebbero stipendi pagati regolarmente, anche e soprattutto a quelli che lavorano in società o nello spogliatoio. E, invece, la Sampdoria è appesa a un filo e, comunque vada, partirà in ritardo, ad handicap sulla concorrenza per mancanza dei tempi necessari per un Progetto con la P maiuscola.
La morale c’è, al di là degli errori in buonafede dei singoli, hanno portato la Sampdoria al momento più nero della sua storia. L’hanno ferita e oltraggiata. L’hanno ingabbiata nel ricatto economico del trust. Ma la Samp è viva, ha nel sangue la forza dei suoi tifosi. C’è chi sta lavorando per una non facile salvezza del nome, del club e della categoria. L’importante è che tutti capiscono che questa partita è senza appello.
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