Tra i duellanti Barnaba e Radrizzani, c'è il Ravano a ricordare a tutti cos'è la Sampdoria
di Claudio Mangini
Sono i giorni dell’attesa, i giorni di una partita che si gioca tra manager e avvocati, membri di consigli di amministrazione e super consulenti, aspiranti compratori e potenziali venditori riluttanti, una partita che può vincere solo Barnaba o Mincione o Radrizzani (che, nelle ultime ore, potrebbe aver assestato l’accelerata decisiva) e possono perdere solo la Sampdoria e i suoi tifosi. E sono i giorni, sotto il tetto blu del padiglione Jean Nouvel della Fiera, a un passo dai lavori che ridisegneranno una fetta di Genova del futuro – e se qualcuno vuole vederci similitudini e segni del destino, liberissimo -, lì sono i giorni del “Ravano-Mantovani, giunto alla edizione numero 38.
Dopo anni, un pomeriggio al “Ravano”. Ho trovato qualcosa di unico in quella distesa di campi: calcio, volley, basket, hockey, ancora basket, ancora calcio e, verso il mare la pista di atletica, le barchette a vela pronte per le regate, i bersagli del tiri con l’arco, tutto il resto. E il’impegno di volontari e insegnanti, l’ansia, l’orgoglio, il tifo dei genitori, l’applicazione e il divertimento dei bambini, e Francesca Mantovani stravolta. «Sai quante partite ho visto da quando è iniziata la manifestazione? Due, quando è venuto Marco Lanna a vedere i suoi figli». Una macchina perfettamente funzionante, con i minibus che girano ininterrottamente e caricano e scaricano i giovani atleti. E il tifo colorato, le cheerleader, gli striscioni colorati fra una lezione e l’altra a scuola.
Avevo in mente le edizioni degli anni d’oro, con Paolo Mantovani orgoglioso e sorridente, mentre a bordo campo tutta la Sampdoria d’oro assisteva a una partita, diretta dal miglior arbitro italiano del momento o, magari, con il presidente della Lega ospite.
Se possibile, c’è qualcosa di più, oggi, dentro il “Ravano”: c’è (c’era, ma oggi forse di più, con l’apertura a tantissimi sport) il convivere di partecipazione con impegno agonistico (tiratissime le partite di calcio) e la parte puramente ludica. Ci sono gli sport individuali, dove la classifica la fa solo la prova di squadra. E anche questo è un insegnamento. C’è qualcosa di unico in Italia, e forse non solo, che cresce ogni anno, si lima, si perfeziona. E Massimo Ferrero, anni fa, in una delle sue tante uscite ineducate e mal modulate, aveva osato criticare il “Ravano”, che la famiglia Mantovani – Ludovica e Francesca in primissima persona, con ore e giorni di fatica dietro le quinte – porta avanti con amore.
Scusate, tutta questa lunga digressione non per raccontare un mondo di zucchero e cannella, ma per andare nello specifico di qualcosa che molto ben rappresenta il concetto di sampdorianità, e, scusate ancora: non per retorica, ma semmai per riflettere sul pragmatismo applicato al calcio.
Tornando alla questione societaria: a countdown ormai vicinissimo al tocco della verità, i giochi non sono ancora fatti, ma nelle ultime ore c’è da registrare una dichiarazione che potrebbe dare un aspetto totalmente nuovo allo scenario. Matteo Manfredi, Ceo di Gestio Capital e socio di Andrea Radrizzani nell’operazione Sampdoria, ha dichiarato al Secolo XIX: «Abbiamo trovato l’accordo con le banche per il pagamento integrale di tutti i loro crediti. Oltre a questo, siamo pronti a investire subito 55 milioni per la salvezza e il rilancio della società blucerchiata, più altri 20 già disponibili». Un’offerta vincolante. Inoltre, ha spiegato Manfredi, che ci sarebbero altri investitori che potrebbero unirsi alla cordata e starebbero già esaminando i dossier. Alle parole, ovviamente, ora dovranno seguire i fatti.
In tutto ciò, cosa c’entra il Ravano? C’entra perché la Sampdoria, nel suo Dna, ha sempre avuto una componente genetica forte di serietà, chiamiamolo stile, a prescindere dalla sua forza calcistica del momento. Paolo Mantovani ripeteva: «Povertà non è peccato», e detto da lui sembrava una boutade. Invece, era un’indicazione comportamentale forte. Ci sono squadre che hanno componenti genetiche irrinunciabili: cosa sarebbe il Barcellona senza la sua identificazione culturale politica con la Catalogna? E cosa sarebbe la Roma senza le sue irrinunciabili e fortissime radici popolari o il Torino senza la sua forza di rialzare la testa sempre e comunque?
La Sampdoria ha un’identità precisa, e il “Ravano Mantovani” la rappresenta molto bene. Serietà, voglia di fare, volontà di crescere passo dopo passo. Non sappiamo ancora se Radrizzani e Manfredi riusciranno ad acquisire la Sampdoria. Non sappiamo se il finanziere romano Alessandro Barnaba, apertamente appoggiato da Edoardo Garrone, cercherà il colpo in contropiede. Non sappiamo nemmeno se i tempi tecnici strettissimi saranno sufficienti per portare a termine l’operazione salvataggio. Ma sappiamo benissimo cosa serve alla Sampdoria e cosa spaventa, sopra tutto, i sampdoriani. Non pochi dei quali, negli ultimi tempi, si sono ritrovati a confidare: «Piuttosto che nuove avventure, meglio ricominciare dalla D». Per essere chiari: la pelle brucia ancora, moltissimo, dopo il triste epilogo dell’era Ferrero. Non conosciamo “dietro la facciata” nessuno degli aspiranti nuovi proprietari della Sampdoria. Ma questa operazione di salvataggio, dopo l’avventura Ferrero e le conseguenze anche d’immagine sulla Sampdoria, non dovrà e potrà prescindere dal Dna della storia blucerchiata.
P.S.: da San Siro la Sampdoria è tornata con un’altra sconfitta pesante, da cui si è salvato per impegno, dignità e per il gol segnato, solo Fabio Quagliarella. Ma scandalizzarsi per questo risultato (uguale, non a caso, a quello della Cremonese in casa contro il Bologna) significa fare del facilissimo moralismo. La Sampdoria squadra è un’entità svuotata di ogni energia mentale, e a questo punto, è pure comprensibile. C’è solo da voltare pagina, in campo e fuori, il prima possibile.
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