Referendum, approfondimento sul terzo quesito: le causali nei contratti a termine

di Matteo Cantile

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Il quesito chiede di cancellare la norma che consente assunzioni a tempo determinato prive di motivazione nei primi dodici mesi

Referendum, approfondimento sul terzo quesito: le causali nei contratti a termine

Il terzo quesito referendario del 2025 propone l’abrogazione parziale del Decreto Legislativo 81 del 2015, nella parte che consente ai datori di lavoro di stipulare contratti a termine senza indicare una causale per i primi dodici mesi. In caso di vittoria del Sì, verrebbe reintrodotto l’obbligo di motivare sempre il ricorso a rapporti di lavoro non a tempo indeterminato. Oggi approfondiamo questa doamanda tra le 5 che ci verranno poste nel Referendum abrogativo che andremo a votare domenica e lunedì. Per approfondire il primo quesito CLICCA QUI, per il secondo quesito CLICCA QUI.

Normativa attuale – La legge oggi in vigore è parte del Jobs Act, approvato nel 2015 durante il governo Renzi e promosso dal ministro del Lavoro Giuliano Poletti. La norma prevede che un contratto a tempo determinato possa essere stipulato senza causale fino a un massimo di dodici mesi. Solo oltre questa soglia è richiesto al datore di lavoro di giustificare la natura temporanea dell’impiego.

Legge precedente – Prima della riforma del 2015, il contratto a tempo determinato doveva sempre contenere una causale fin dalla stipula iniziale. Il riferimento normativo era il Decreto Legislativo 368 del 2001, che subordinava la validità del contratto alla presenza di una motivazione oggettiva, legata a esigenze temporanee dell’azienda.

Obiettivi della riforma – Secondo il governo dell’epoca, l’obiettivo della norma era duplice: ridurre il contenzioso legato alle causali e facilitare l’accesso al mercato del lavoro, offrendo alle imprese uno strumento flessibile per assumere. La riforma puntava a favorire l’occupazione, soprattutto giovanile, eliminando barriere burocratiche iniziali.

Conseguenze osservate – I dati diffusi da INPS e ISTAT negli anni successivi hanno evidenziato un aumento significativo dei contratti a termine, in particolare quelli di durata molto breve. Il fenomeno ha interessato in misura maggiore i lavoratori più giovani e meno qualificati. Secondo diverse analisi, il tasso di trasformazione in contratti stabili è rimasto basso, mentre è aumentata la frequenza dei rinnovi a breve distanza.

Posizione del Sì – I promotori del Sì, tra cui la CGIL, ritengono che l’attuale norma abbia favorito la precarizzazione del lavoro e reso più fragile il potere contrattuale dei lavoratori. Sostengono che reintrodurre la causale fin dal primo contratto costringerebbe le imprese a motivare realmente il ricorso a forme non stabili di impiego, scoraggiando gli abusi e promuovendo relazioni lavorative più trasparenti.

Posizione del No – I sostenitori del No, tra cui Confindustria e Confartigianato, difendono la possibilità di stipulare contratti a termine senza causale come una misura utile per rispondere con prontezza alle esigenze produttive. Ritengono che un ritorno all’obbligo immediato della causale renderebbe più rigida l’assunzione, aumenterebbe i rischi legali per le imprese e potrebbe ostacolare l’accesso al lavoro, soprattutto per chi cerca una prima occupazione.

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