Lo sciopero per l'ex Ilva: tutti i dubbi e le incertezze

di Paolo Lingua

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Lo sciopero per l'ex Ilva: tutti i dubbi e le incertezze

Lo sciopero dei dipendenti dell’ex Ilva, con grande manifestazioni a Roma, ma con una marcia a Taranto e con le imprese chiuse anche a Genova e a Novi Ligure, è stato massiccio e compatto, come del resto era nelle previsioni, ma la discussione sul complesso caso e sulla tormentata vicenda andrà ben oltre. Si prevedono altre manifestazioni sindacali di protesta e tutta una serie di azioni, prima che la situazione della maggior acciaieria italiana e una delle più grandi d’Europa trovi una soluzione equilibrata. Obiettivo non facile e neppur troppo semplice da risolvere con schemi astratti. Molti aspetti della vicenda sono ancora oscuri.

Qual era, ci si chiede, il vero scopo e l’obiettivo da centrare da parte di Arcelor Mittal? Voleva acquisire l’azienda per poi liquidarla e chiuderla in via definitiva, come del resto ha già fatto per altri centri produttivi siderurgici in Europa? Oppure si aspettava contenuti diversi e i suoi vertici si sono irritati per le manovre da parte del Governo, quando è immesso e poi soppresso il famoso “scudo penale” per i dirigenti dell’azienda franco-indiana?  Per la verità, anche se è stato certamente un grave errore (di matrice grillina, con un Pd sottomesso e ondeggiante), non si è ancora capito che cosa accadrà nelle prossime settimane. Le preoccupazioni sul gruppo siderurgico sono autentici macigni. In primo luogo occorrerà risolvere come sarà articolata la proprietà e la gestione. Si parla di un ritiro parziale di Arcelor Mittal che potrebbe scendere con una quota di minoranza. Potrebbe entrare, sempre come soci di minoranza con quote frazionate, altri privati. Poi ci sarebbe il ruolo d’una partecipazione statale di cui non è ancora valutabile il peso.

Il Governo, tramite ministri specifici e leader politici, ha annunciato la presenza pubblica, caldeggiata unitariamente dai sindacati, ma senza specificare modalità e tempi. Da parte sindacale la presenza pubblica appare una garanzia fondamentale, anche perché la siderurgia è considerata un settore fondamentale dell’industria italiana, in tutti settori produttivi, a cominciare da quello dell’automobile, che pure soffre d’una crisi seria di mercato sin dall’anno scorso. Chiudere la siderurgia per i sindacati (ma anche per gran parte del mondo industriale) è impensabile.

Ma ecco emergere un altro macigno: i posti di lavoro.  Arcelor Mittal aveva annunciato il taglio entro il 2023 della metà degli attuali occupati negli stabilimenti italiani, una cifra cinque volte superiore a quella inizialmente annunciata e da realizzare in discesa frenata. Ora, secondo le linee ufficiose del governo, i tagli dei dipendenti dovrebbero avere una dimensione più contenuta, ma, per la verità, è ancora tutto molto vago. Ma non bisogna dimenticare che sulla vicenda, sia pure con interventi destinati a prolungarsi nel tempo, incombono due azioni delle magistrature di Taranto e di Milano.  Al di là delle problematiche che riguardano l’accordo tra il governo e Arcelor Mittal, c’è anche la questione complessa della situazione dell’inquinamento ambientale, peculiare di Taranto (ma non di Genova e di Novi Ligure), una situazione che è nata qualche decennio fa e che non è mai stata affrontata in maniera radicale.

L’obiettivo dei lavoratori, dei cittadini e delle istituzioni pubbliche sarebbe quello di arrivare al risanamento, alla realizzazione di impianti non inquinanti ma anche di proseguire nell’occupazione per garantire i posti di lavoro diretti e dell’indotto. E’ prevedibile che la protesta dei lavoratori andrà avanti per un pezzo e che la trattiva tra governo e multinazionale anglo-indiana proseguirà tra mille ostacoli. Le responsabilità sono complesse e certamente assai ampie, ma è indubbio che in tutta la vicenda, ancora una volta, ha influito la fragilità dell’alleanza di governo e le visioni, certamente differenti tra grillini e Pd, per non parlare degli altri minori come i renziani e l’estrema sinistra di Leu. Una debolezza congenita, frutto d’una fragile politica con il fiato grosso.