La diatriba nazionale sullo scudo penale sull'ex Ilva

di Paolo Lingua

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La diatriba nazionale sullo scudo penale sull'ex Ilva

La diatriba politica sulla questione dello ”scudo penale” sui dirigenti di Arcelor Mittal sta assumendo ormai una dimensione assurda, ancor auna volta un dibattito “all’italiana” dove s’incrociano esigenze affannose  di recupero d’un accordo e posizioni pseudo-moralistiche, soprattutto da parte del M5s.  Lo “scudo penale” ha una sua logica: per consentire la continuità di sviluppo dell’impresa siderurgica e, al tempo sesso, di operare sul piano della bonifica ambientale (quasi esclusivamente di Taranto), era stato previsto un elemento giuridico di copertura per i dirigenti che dovevano operare da qui al prossimo futuro,  considerato che eventuali danni ambientali non erano certamente di loro responsabilità, ma semmai delle gestioni del passato. In effetti, soprattutto a Taranto, i danni ecologici e una serie di malattie legate alle emissioni della fabbrica risalgono anche a più di vent’anni fa e anche più e sarebbe assurdo mettere in difficoltà chi semmai ha il problema del recupero e della nuova gestione.

Lo scudo penale, che era visto con favore dai governi di centrosinistra e anche dalla Lega nel primo governo Conte, ha sempre avuto l’ostilità dei grillini che, nelle precedenti campagne elettorali nazionali e locali, non hanno mai nascosto la loro linea favorevole addirittura alla chiusura dell’ex Ilva, nel nome della filosofia della “decrescita felice”, una linea che non vedeva ostile neppure il presidente della  Regione, Emiliano, ormai neppur aderente al Pd per sua esplicita dichiarazione. A favore dello scudo penale c’è il partito di Renzi, c’è il Pd e c’è, come lo ha ricordato oggi, l’ex ministro Calenda, che ha fondato appunto il suo nuovo movimento ispirato a posizioni centriste e democratico-liberali . Ovviamente a favore ci sono anche tutti i partiti dell’opposizione di centrodestra. L’obiettivo è quello di estendere il provvedimento a tutte le imprese impegnate nel recupero ambientale dei fattori produttivi in modo da poter consentire la doppia azione di recupero e di rilancio della produzione. Il Governo, obiettivamente, nel corso degli ultimi due mesi, ha pasticciato, soprattutto sopprimendo lo scudo penale che da Calenda in poi era stato introdotto. E’ meglio essere chiari: non è Ancora stato messo a fuoco quale fosse il vero obiettivo di Arcelor Mittal (forse il pesante taglio dei dipendenti, secondo gli osservatori più esperti). Ma è indubbio che la soppressione dello scudo penale ha offerto alla multinazionale siderurgica un ottimo pretesto per mandare tutto all’aria, anche  se  , a quel che è dato di capire, potrebbe esserci un ripensamento parziale con il ritiro della decisione di arrivare allo spegnimento degli altiforni e del blocco produttivo. Lo si capirà meglio nei prossimi giorni e nelle prossime settimane, perché le trattative saranno lunghe e complesse, visto che le decisioni più drastiche sono state sospese.

Ma, al di là delle posizioni e delle strategie della multinazionale siderurgica,  resta, a livello politico, una situazione confusa e contraddittoria, con una posizione di resistenza passiva da parte del M5s e in particolare di Luigi Di Maio che punta a recuperare l’ala più intransigente e radicale del suo momento, proprio mentre si chiede alla discussa “piattaforma Rousseau” l’eventuale via libera a partecipare alle elezioni regionali. Nel frattempo Renzi punta a una liberalizzazione dell’economia e d’un rilancio degli investimenti, senza troppi vincoli. E Zingaretti cerca di cucire  come è possibile tutto e tutti ma cercando di agganciare l’ala sinistra dello schieramento ex Pd.  Nel frattempo crescono le “sardine” di cui non si conosce ancora l’opinione sulla vicenda della siderurgia, sempre che ce l’abbiano.  In realtà si va a spanne verso le “prove” elettorali, sia pure con la paura d’un disastro alle urne. E, con un difetto endemico della nostra politica, si cercano rinvii e faticose mediazioni.