La complessa e intrecciata vicenda della ex Ilva, una storia che si annuncia infinita
di Paolo Lingua
Quali possono essere le soluzioni per la ex Ilva e per l’avvenire della siderurgia in Italia? A cercare di fissare in una fotografia – oggi – i possibili sviluppi della crisi potremmo avere una via infinita di soluzioni prospettate e proposte da tutte le parti in causa: Arcelor Mittal, sindacati, partiti di governo (ognuno ha la sua terapia), Confindustria, enti locali della Puglia. E chi più ne ha, più ne metta. Proviamo a rileggere le diverse (e sovente contrastanti) ipotesi. Cominciamo da quella apodittica che viene dall’estrema sinistra di Leu: nazionalizzazione dell’azienda, dopo il ritiro di Arcelor Mittal. Il che vorrebbe dire che i conti pubblici dovrebbero assumersi il peso della gestione dell’azienda e anche i costi del recupero ambientale del territorio di Taranto. Ci sono poi (una parte dallo stesso presidente Conte) di gestione solo parziale da parte del capitale pubblico, con la possibilità d’un recupero parziale, come socio, di Arcelor Mittal. A questo proposito ci sono due letture integrative: quella di recuperare lo “scudo penale” in tutti o in parte. Favorevoli al recupero della normativa già esistente e poi tagliata in sede di varo della legge i renziani e il Pd. Ma sarebbe però contrario il M5s come ha ribadito più volte Di Maio. Poi, meno concreta, ci sarebbe la possibilità di affidare l’azienda a un nuovo acquirente , suggerito dai renziani. Alle spalle di tutta la vicenda restano comunque tutti i ricorsi giudiziari partiti dalle magistrature di Taranto e di Milano. Ai quali la multinazionale franco-indiana ha già annunciato di voler dare risposta. Ci sono poi le dichiarazioni dei vertici sindacali che non intendono chiudere gli altiforni: Che faranno? Si ribelleranno? Occuperanno le fabbriche? E la politica come risponde? Le posizioni sono molto differenti: I renziani, come si è detto, vorrebbero trovare (e dicono di averlo) un altro interlocutore privato che sostituisca Arcelor Mittal, reinserendo nella legge lo scudo penale. Quest’ultima è una soluzione suggerita dal Pd, dalla Confindustria e dal sindacato per chiudere ogni pretesto di rottura da parte di Arcelor Mittal. Infine – ma il dato è importante e delicatissimo – ci sono le preoccupazioni di tutte le imprese italiane che acquistano acciaio dalla ex Ilva e che si troverebbero nella difficoltà o di non trovare materiale (basterebbe pensale alla sola Fincantieri) e sarebbero costrette a trovare altri interlocutori, certamente a prezzi assai maggiori. Su tutta la vicenda incombe la crisi del settore produttivo che impone alle imprese siderurgiche del mondo un parziale passo d’arresto nella produzione per la contrazione del mercato. Per restare nella situazione nazionale la vicenda complessiva della siderurgia italiana si manifesta come un oceano di contraddizioni e di comportamenti non del tutto chiari, in un contesto nel quale striscia la crisi tra gli alleati di Governo, già coinvolti in contrasti sulla politica economica e sociale dei prossimi mesi. Abbiamo il M5s spaccato al proprio interno tra “governativi” decisi a restare a tutti i costi ai vertici dell’esecutivo per evitare un ritorno alle urne che potrebbe essere disastroso per loro, contrastati dall’ala radicale che punta a irrigidirsi sui vecchi valori espressi nei primi passi del movimento. Il Pd oscilla tra la tenuta governativa e forse un ritorno al voto che potrebbe segnare un crollo dei grillini, alleato pesante da gestire e, al tempo sesso, bloccare una eventuale avanzata del movimento renziano. La situazione, a questo punto (se si pensano alle contraddizioni sugli interventi sul territorio e in particolare su Venezia) appare complicata ma con segni obiettivamente confusionali. Si procede a spanne, a lume di naso, senza strategie per l’immediato futuro.
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