Chiesa: don Martino risponde al sacerdote anonimo che critica la gestione genovese e lo invita a un "confronto fraterno"

di steris

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In una lettera al vaticanista Valli, il religioso anonimo aveva parlato di Chiesa disinteressata al Trascendente e appiattita sulle posizioni del Pd

Chiesa: don Martino risponde al sacerdote anonimo che critica la gestione genovese e lo invita a un "confronto fraterno"

Se dall'Arcivescovado non sono prevedibilmente arrivate reazioni ufficiali alla lettera aperta di un sacerdote genovese pubblicata dal vaticanista Aldo Maria Valli sul suo blog 'Duc in Altum', ci ha pensato don Giacomo Martino, parroco di N.S. di Loreto, a rispondere in due tempi al prete che aveva criticato la deriva presa a suo dire dalla Chiesa genovese (LEGGI QUI), sostenendo tra l'altro che "In primo piano non c’è la salvezza delle anime, non c’è l’ansia di portare Cristo, bensì un programma sociale politicamente corretto che potrebbe essere quello del Partito Democratico: ecologismo, parità di genere, inclusione, dialogo. E così il cristianesimo evapora e muore".

Nel dodicennio bergogliano, si è rovesciato il panorama che vedeva il cosiddetto 'dissenso cattolico' elogiato e sostenuto da molti osservatori diretti e indiretti che, durante il controverso regno del gesuita argentino (nella foto, Francesco con don Martino in sala Nervi), si sono trasformati in 'fedeli alla linea' decisa a Santa Marta, repressione del tradizionalismo e del rito tridentino compresa: questa forse una delle ragioni dell'anonimato scelto dall'autore della lettera a Valli, in un primo post criticato da don Martino con espressioni come "Lettera a chi si nasconde nell’ombra" e "presunto sacerdote" per qualificare il firmatario e, successivamente, dallo stesso invitato a contattarlo in una prospettiva fraterna.

 

Ecco i due post Facebook di don Giacomo Martino, pubblicati nel primo pomeriggio di venerdì con due ore di intervallo.

 

Lettera a un fratello sconosciuto (Rispetto al post precedente)

Caro fratello,

non so chi tu sia, e proprio per questo ti chiamo così: fratello. Fratello nella fede e fratello nel sacerdozio.

La tua lettera, pur restando anonima, ha toccato corde profonde. Non posso negarlo: all’inizio mi sono arrabbiato. Non tanto per ciò che hai scritto, ma per il modo in cui l’hai fatto. L’anonimato è una ferita: ci priva del volto, dello sguardo, della possibilità di ascoltarci davvero. È come parlare a una porta chiusa.

Ma oggi, da questa parte della porta, io ci sono. E ci resto.

Non ho giudicato nessuno, perché nessuno si è palesato. Ma da questo momento, ti voglio dire una cosa chiara, semplice e vera: se sei un prete, se sei un uomo in difficoltà, io ti voglio ascoltare. Senza difendermi. Senza ribattere. Con le mani vuote e il cuore spalancato.

Ho le mie fatiche, tante. A volte ho pianto, di notte, per la stanchezza e le critiche.

Ma se vuoi, possiamo piangere insieme.

Non per compatirci, ma per condividere un peso. E magari lasciarlo un po’ ai piedi della croce.

Forse resteremo con idee diverse.

Va bene così.

Ma almeno ci saremo guardati negli occhi da fratelli, non da voci nell’ombra.

Se vuoi incontrarmi, anche segretamente, io ci sono.

Ti offrirò un caffè. O magari una pizza: perché, vedi, forse sarei anche bravo a fare il pizzaiolo… ma non così bravo a fare il prete.

Eppure eccomi qui, a fare del mio meglio, con i miei limiti, per amare la Chiesa e chi ne fa parte. Anche te.

Ti aspetto, fratello.

Quando vuoi.

Nel frattempo, prego per te e ti chiedo di oregare per me.

Con fraternità vera,

don Giacomo Martino"

 

 

Lettera a chi si nasconde nell’ombra: noi restiamo alla luce del Vangelo

In questi giorni è stata pubblicata una lettera anonima — firmata da un presunto sacerdote genovese — sul blog Duc in altum. Un lungo sfogo, accorato e drammatico, che esprime disagio, amarezza, stanchezza. Tutto questo posso comprenderlo: siamo tutti affaticati.

Ma ciò che non posso accettare è l’anonimato.

Chi ama la Chiesa si assume la responsabilità delle proprie parole. Le lettere anonime sono come granate lanciate in una stanza affollata, poi ci si gira e si va via. Non è così che si costruisce la comunione. Non è così che si vive il Vangelo. Non è così che si cammina nella luce.

Sì, siamo in un tempo difficile. Ma profetico.

Il disagio c’è. È reale. Lo vivo anch’io. Lo viviamo tutti.

I praticanti in Italia sono ormai meno del 5%. In alcune zone siamo ben sotto. La cultura cristiana è evaporata. Le nostre comunità sono stanche, fragili, spesso disorientate.

Ma questa non è solo crisi. È anche profezia che si compie.

Papa Benedetto XVI — e non un teologo progressista — aveva annunciato con lucidità disarmante:

“La Chiesa del futuro diventerà piccola e dovrà ripartire più o meno dai principi. Non sarà più in grado di abitare molti degli edifici costruiti in tempi di prosperità. Perderà gran parte dei privilegi sociali. Ma… sarà una Chiesa più spirituale, non presuntuosa, più povera e più vera.”

Ecco: è questo tempo che stiamo vivendo.

Non lo stiamo subendo. Lo stiamo abitando. Con fatica, certo. Ma con Fede.

Io sono parroco e moderatore. E non mi nascondo.

Sono uno dei “parroci moderatori” di questa Diocesi. Un termine che non esiste nel diritto canonico? È vero. Ma esistono le persone, le comunità, le fragilità che serviamo. Io sono parroco delle quattro parrocchie di Oregina, e da lì non scappo.

Abbiamo cambiato tanto. Abbiamo sbagliato anche. E io per primo ho commesso errori.

Qualche sera fa, per esempio, sono stato ripreso per aver cambiato l’orario di una Messa senza sufficiente confronto. Il motivo era logistico, e mi ero confrontato con molti.

La comunità mi ha corretto ma con grande carità, senza urlare, senza disprezzo. E mi ha lasciato spiegare.

Questa è sinodalità vera: ci si ascolta, ci si corregge, ma si rimane insieme.

La Fraternità di Oregina è povera, ma viva.

Chi parla di “auto-dissolvimento” o di “sacerdoti svuotati del loro ruolo”, forse non conosce il cuore vivo delle nostre Fraternità, come quella che servo ogni giorno.

Non è una strategia “politicamente corretta”. È Vangelo messo in pratica.

Ogni settimana prepariamo 120 pasti per i poveri che vivono per strada.

Abbiamo aperto un emporio solidale, per restituire dignità alle famiglie in difficoltà.

C’è un dormitorio invernale, che accoglie chi non ha più casa da dicembre a maggio.

C’è un centro d’ascolto, che non distribuisce solo aiuti materiali, ma relazioni.

Abbiamo oltre 100 volontari che operano stabilmente, mossi da fede e amore.

Seguiamo due RSA del territorio, portiamo la comunione a casa, celebriamo in case di riposo.

E soprattutto, c’è una preghiera costante, ispirata dai giovani e meno giovani ma tutto è  vissuto con passione.

Un idillio? Certamente no, anzi....ma la vita è così. È difficile per tutti.

Quest’estate parteciperò a sei campi estivi con bambini e ragazzi. Ne perderò tre, perché si accavallano le date. Ma questa è una Chiesa viva, che non ha tempo per le polemiche, perché è impegnata ad amare.

Chi non è in comunione, non è in missione.

Non sono sempre d’accordo con il mio Vescovo. E lo dico apertamente.

Il mio essere Chiesa, però, non dipende dal mio umore, né dal mio disappunto.

Essere in comunione non significa obbedienza cieca, ma appartenenza responsabile.

Chi oggi lancia accuse al cammino sinodale, dimentica che Gesù ha affidato a Pietro e agli apostoli — e oggi a Vescovo e presbiteri — il compito di guidare, discernere, custodire.

La comunione non è “melensa”. È scelta adulta, coraggiosa, evangelica.

Chi oggi lavora contro il Vescovo, è già fuori dal Vangelo.

Il Vangelo non si interpreta.

Si vive.

C’è una frase nella lettera anonima che mi ha colpito: “Non si parla più di Cristo, ma di ecologismo, inclusione, parità…”

E io dico: ma chi lo ha detto che queste cose sono opposte al Vangelo?

Gesù ha lavato i piedi. Ha abbracciato gli esclusi. Ha toccato i lebbrosi. Ha messo l’umanità al centro. Questo è Vangelo.

Il problema non è che parliamo troppo di accoglienza, di pace, di rispetto.

Il problema è che non li viviamo abbastanza.

Il Vangelo non è uno slogan da usare contro gli altri, è una vita da perdere per gli altri.

La fatica non ci fa paura. L’anonimato sì.

Sì, la fatica è tanta. E lo confesso qui, pubblicamente: qualche notte ho pianto.

Per le tensioni, per le critiche, per le incomprensioni.

Ma la gente ha colto il senso del cammino, e oggi la fatica è condivisa.

E non abbiamo paura della stanchezza, perché abbiamo il cuore pieno.

Abbiamo paura solo di chi lancia parole come pietre e poi si nasconde.

Abbiamo paura della codardia spirituale, non della povertà evangelca.

Avanti allora, insieme, e come dice spesso il nostro Vescovo: "prendiamoci il lusso di sbagliare" ma quando si sbaglia per Amore non si sbaglia mai......

don Giacomo Martino

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