Troppe parole sul destino di Banca Carige

di Paolo Lingua

2 min, 59 sec
Troppe parole sul destino di Banca Carige
Parole, parole, parole….era il refrain d’una nota e vecchia canzone. In un certo senso il ritornello sembra adattarsi all0 stato (soprattutto d’attesa sui suoi destini) della Banca Carige. Non passa giorno che osservatori tecnici e finanziari, media, enti di controllo e persino Banca d’Italia, Consob e Bce non facciano il punto sullo stato dell’istituto ritoccando e correggendo di volta in volta (a parole, sempre) quello o quell’altro progetto o compiano un ripensamento (teorico) sui possibili sviluppi dell’intera vicenda di quella che è stata la più importante banca della Liguria, poi entrata cinque anni fa in un pesante crisi. C’è che punta sulla eliminazione progressiva dei crediti deteriorati, chi punta su un paio di milioni che costituirebbero un bond da spalmare sul mercato. In questi giorni è intervenuto in una intervista anche uno dei tre commissari che attualmente gestiscono la banca, il professore Raffaele Lener. L’invento che di fatto non ha portato reali novità è però frutto d’una indicazione che potrebbe illuminare la strategia dell’attuale gestione straordinaria. Infatti, un po’ tutti i presunti terapeuti che si avvicendano attorno al letto dell’ammalata illustre, ovvero la Carige, non mancano di indicare come medicina finale per la guarigione di tutti i mali la possibile “aggregazione” con un altro istituto finanziario, ovviamente più forte e robusto. I possibili “aggregatori” (chiamiamoli così) sono un certo numero di banca, italiane o straniere, dal nome roboante. Tutti però compiono smentite più o meno decise. Che cosa significa? Che l’aggregazione, a voler dire la verità, ognuno la vorrebbe a modo suo, con un obiettivo preciso di utile. Ma l’utile dell’acquirente, o comunque del “socio forte”, coincide con gli interessi dell’aggregato? Qui sta la questione più delicata perché nella Carige ribollono le problematiche del piccoli risparmiatori e dei piccoli azionisti sinora massacrati dalla crisi del passato e dagli errori delle gestioni che si sono succedute negli ultimi anni, ci sono gli equilibri interni da rimettere in sesto, c’è forse un eccesso e un esubero di personale da risistemare  e, infine (ma non è l’ultimo dei problemi) il ruolo degli azionisti di rilievo, in particolare quello del gruppo Malacalza Investimenti che controlla il 27,5% del pacchetto azionario. In questo senso, vanno comprese le prudenti dichiarazioni di Raffaele Lener che scavalcano sia l’ipotesi, per ora campata in aria della possibile statalizzazione della banca (negata dallo stesso ministro dell’economia Tria), sia quella delle immediate aggregazioni. Lener ha riportato il ragionamento sull’esigenza di realizzare, seriamente, un concreto piano industriale che tracci un preciso percorso della Carige, non trascurando il dialogo con gli azionisti di riferimento. A questo obiettivo si dovrebbe arrivare per la fine di febbraio. Si tratta d’una ipotesi operativa che è rimasta sospesa dopo la clamorosa assemblea degli azionisti dello scorso 22 dicembre . infatti da parte dei Malacalza si decise di sospendere il voto favorevole all’aumento di capitale di 400 milioni richiesto dagli istituto di controllo e dalla Bce proprio perché mancava il piano industriale. I vertici della banca si scusarono per non aver fatto in tempo a metterlo a punto. E qui ci sono ancora i famosi punti interrogativi sospesi: il gruppo Malacalza, se sarà convinto, accetterà l’aumento di capitale? Oppure ha un potenziale soggetto per l’aggregazione di sua fiducia e di suo interesse? E’ possibile una eventuale Opa, visto che nessuno, salvo qualche velleitario e sprovveduto politico, pensa seriamente alla nazionalizzazione della Carige? Non è un gioco da caffè, ma qui ruotano tutte le possibilità ancora aperte per la soluzione “positiva” della vicenda a tratti drammatica di quella che fu la banca ligure per eccellenza.

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