Sarà un autunno di crisi economica?

di Paolo Lingua

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Sarà un autunno di crisi economica?

Non sono entusiasmanti le previsioni per l’economia italiana del prossimo autunno. Da parte della Confindustria e delle altre associazioni di categoria (commercio, artigianato, agricoltura, terziario, servizi) i segnali sono tutt’altro che ottimistici. Si segnalano già, con riferimento ai mesi di aprile e di maggio, dei cali di fatturato che si avvicinano al 40%, ma è probabile che, al termine dell’estate il turismo, nonostante qualche  tentativo di diffondere news positive di ripresa per agosto forzando la situazione, segno un crollo superiore al 50%  della media ordinaria. Quest’ultimo dato, il più prevedibile, preluderà all’affanno di molti settori come il commercio al minuto e all’industria media e alta, mentre l’artigianato, che annaspava ancora in primavera, ma che sembrava tenere duro,  potrebbe avere, a sua volta, un crollo di mercato.

Al di là delle lunghe pause di carattere generale che hanno caratterizzato la primavera, tutti gli interrogativi dubbiosi sono puntati sul coronavirus. Non si comprende se potrà esserci una ripresa del contagio in autunno. In questo momento – che però non fa testo – la diffusione del virus  dipende molto dai focolai purtroppo frutto d’una certa leggerezza dei giovani  nelle città e nelle località di villeggiatura: è scesa nettamente la mortalità per una serie di motivi che vanno dalla minore gravità dell’infezione (per molti complessi motivi), sia dal fatto che colpisce persone più giovani e quindi più robuste sia per una maggior capacità sanitaria d’impiego delle terapie e dei farmaci. Ma l’incognita resta, per motivi stagionali e per la potenziale violenza di diffusione, il periodo autunnale. Una ripresa dell’infezione potrebbe portare il governo e le regioni a tornare a blocchi del lavoro, della circolazione e delle precauzioni sugli spostamenti con qualsiasi tipo di mezzi di trasporto. Nuovi interventi di blocco parziale o totale del lavoro sia nei servizi pubblici, sia nella produzione industriale potrebbero peggiorare una situazione generale già in pesante crisi. Il governo ha approvato i decreti che bloccano i licenziamenti sino a metà autunno e puntano alla ripresa, anche se le opposizioni di centrodestra sostengono che la ripresa economica potrà venire solo con spinte sullo sviluppo e non con soli provvedimenti di natura “sociale” o assistenziale. Tutti i dubbi sull’immediato avvenire però restano. Perché, come si è detto, è quasi impossibile fare previsioni e perché tutti i paesi che ci circondano – a partire dall’Europa, ma anche considerando certe realtà di quello che un tempo veniva definito Terzo Mondo, a cominciare dalla Cina, stanno presentando alti e bassi nella ripresa del coronavirus. Per non parlare di grandi stati come gli Usa di Trump che oscilla con giudizi a volte assurdi e con operazioni contraddittorie al limite dell’incoscienza  o di disastri gestionali come quello del Brasile.

Tutte realtà assai importanti e che hanno conseguenze immediate sui rapporti economici e di mercato con l’Italia. Questo spiega una certa incertezza nelle scelte e nelle strategie del nostro governo che sembra puntare per il momento su azioni che potrebbero essere definite di “difesa” piuttosto che di impegno, anche al limite dell’estremo coraggio e del desiderio di sfida, per la ripresa economica. Il problema maggiore riguarda la disponibilità del potenziale economico (i famosi 209 miliardi) di cui l’Italia potrebbe disporre grazie al “ricovery found”. Ma questi finanziamenti – in parte prestiti a basso indice di interesse e in parte a fondo perduto – arriveranno solo in primavera e dopo un “passaggio” di valutazione sulla concretezza e solidità di investimento. E qui il governo dovrà operare delle scelte molto concrete e solide  superando le debolezze del passato, quando si cercava di Accontentare tutti disperdendo le disponibilità. Scegliere come operare significa scavalcare alcune impopolarità e delusioni perché non si può fare tutto insieme e nello stesso momento. E’ finita l’epoca del vecchio clientelarismo. Solo con un salto di qualità si potrà sperare ella ripresa economica e della qualità della vita.