Quelle aziende liguri sempre in crisi
di Paolo Lingua
Il punto di Paolo Lingua
L’accordo raggiunto oggi per il futuro della “Piaggio Aero” è il classico bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto. C’è stata messa una pezza su una parte del settore produttivo, ma restano, come qualche parte politica e sindacale ha notato, più di 500 lavoratori in cassa integrazione e alcuni settori dell’azienda non sembrano muoversi. La questione, che si trascina non da mesi ma da anni, riguarda il ruolo storico della “Piaggio” in Italia, ma non solo. Ha la possibilità di produrre velivoli di alta qualità sia per uso civile, sia per uso militare: una prospettiva che dovrebbe vedere, come in passato, impegnati sia lo Stato, sia le aziende che dipendono dalla Difesa, come possibili partners o comunque committenti. In un certo senso era più funzionale il vecchio sistema quando es9isteva l’iri e le imprese all’Iri collegate, soprattutto se non erano cadaveri da tenere in piedi, ma piuttosto punti di riferimento che facevano mercato. E’ indubbio che la Piaggio si trascina dietro problemi di organizzazione e di struttura dalla metà degli anni Novanta, quando la famiglia “fondatrice” decise di ritirarsi e di vendere. Ma un lustro fa sembrava, ai tempi del governo Renzi, che ci fosse una svolta definitiva con l’assesto dei due stabilimenti di Genova e di Villanova d’Albenga. E’ indubbio che l’attuale governo, viste anche le difficoltà finanziarie e la crisi in cui si dibattono i conti pubblici, sia più cauto, ma è indubbio che occorra un salto di qualità.
La situazione della Piaggio sembra collegarsi, sia pure in campi del tutto differenti, con quella di altre grandi imprese del territorio ligure. Il primo caso è quello dell’Ilva, il cui nuovo acquirente, il gruppo internazionale Arcelor Mittal ha annunciato per settembre una massiccia collocazione di dipendenti di Taranto in cassa integrazione. La crisi di Taranto (che riguarda il problema delicatissimo delle immunità per responsabilità per inquinamento) che dovrà essere risolta con una non semplice trattativa con il Governo, nella speranza che ci siano i tempi per intervenire concretamente, non può non ricadere sui due stabilimenti “minori” collegati alla produzione siderurgica, ovvero Genova e Novi Ligure. La tensione, nonostante il periodo estivo, è molto forte, perché i rischi di cassa integrazione e di riduzione del personale sono molto alti perché, come appare evidente, i sistemi produttivi sono strettamente collegati. Oltra la delicata questione delle immunità Arcelor Mittal ha già dichiarato che in questo momento c’è una crisi economica internazionale per quel che riguarda la siderurgia. E anche in questo caso la mediazione, se non l’intervento diretto del Governo, appare determinante. Sempre per restare nel campo delle imprese in crisi, non mancano le preoccupazioni, peraltro mai sopite, per l’avvenire della Bombardier che rischia di ridurre se non annullare la struttura di Savona che solo po0chi anni fa sembrava invece in forte rilancio. Anche in questo caso gioca l’ordinazione dei locomotori e di convogli, anche in questo caso da parte della mano pubblica.
E’ indubbio, volendo unire i tre casi con un tratto ideale di matita, che siamo di fronte a un intreccio di problematiche che coinvolgono, come si diceva una volta, “Stato e mercato”, un meccanismo che, in passato, non è stato sempre virtuoso e che ha creato gravi crisi, per errate gestioni clientelari e di potere. Ma non esiste realtà economica in Occidente, compresi di Stati Uniti di Trump, dove queste realtà non abbiano un movimento, anche se decisamente virtuoso. Al di là delle crisi storiche delle aziende in questione, si ha la netta sensazione, nell’affanno delle istituzioni locali e dei sindacati, che manchi una strategia e una regia di cui invece, non solo la Liguria, ma tutta l’Italia avrebbe bisogno.
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