Primarie Pd, la sconfitta di Renzi e il "cambiamento" ancora da capire
di Paolo Lingua
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Il Punto di Paolo Lingua
Anche in Liguria, salvo piccole variabili che però si possono mettere in evidenza in ogni regione italiana, si è riflettuto l’esito nazionale delle elezioni primarie per designare il segretario nazionale del Pd. Nicola Zingaretti ha oscillato nei diversi territori più o meno sui valori medi. Giachetti è stato ovunque tra l’ 11% e il 12% con una sola punta vicina al 15% a Imperia.
Martina ha toccato il 25% alla Spezia, il 20% a Savona e nel Tigullio, il 17% a Genova e Imperia. Il vincitore Zingaretti ha toccato il 72% a Genova, il 67% a Savona, nel Tigullio e a Imperia, il 65% alla Spezia. Nell’estrema provincia levantina ha indubbiamente giocato l’azione di Raffaella Paita, renziana di ferro. Mentre anche i leder locali renziani hanno inclinato in gran parte per Zingaretti, anche grazie al posizionamento dell’ex ministro della Difesa Roberta Pinotti.
Nel complesso in Liguria, così come in Italia nettamente, s’è verificato, all’interno del partito ma anche nell’opinione pubblica di simpatizzanti che sono andati a votare, un sostanziale abbandono delle posizioni di Matteo Renzi puntando semmai a una “svolta” che miri a recuperare, sia pure all’insegna delle mediazione morbida, una parte dei fuoriusciti, andati a ingrossare le fila dell’estrema sinistra radicale.
Non è facile, considerato l’attuale momento politico pieno di contraddizioni e di cambiamenti, con continui alti e bassi nei rapporti e nelle scelte strategiche dei partiti di governo, capire cosa succederà a breve. E’ indubbio, solo per restare in casa del Pd, che le posizioni renziane sono per il momento in netto calo e non resta neppure lo spazio per una possibile scissione, sempre che ne sia esistito mai il progetto. A Zingaretti tocca il ruolo del “cambiamento”, senza capire per ora che cosa cambierà e verso quali rotte si navigherà.
E’ ovvio che si punta al recupero del sostegno perduto da patte di chi è andato con D’Alema e con Bersani e di chi ha votato per i “grillini”. In parte, ma non sarà una prova assoluta, si potrà comprendere qualcosa dopo le elezioni europee, anche perché la Lega e il M5s si posizioneranno in schieramenti differenti, anche potenzialmente ostili tra di loro, mentre avremo ancora su posizioni europee diverse Fratelli d’Italia e Forza Italia (quest’ultima con i Popolari), mentre il Pd dovrebbe restare saldamente con i socialisti che però nel continente non hanno un momento particolarmente felice soprattutto nei Paesi di maggiori dimensioni come Francia, Spegna e Germania.
Alla luce di queste differenze che corrispondono a contrastanti strategie politiche europee, non sarà agevole compiere una “operazione specchio” in Italia. Anche se potrebbero restare in piedi tutti i contrasti tra Lega e M5s, dalle grandi opere alle autonomie regionali. In questa chiave, per tornare al ragionamento scaturito dalle “primarie” del Pd, si potrà capire quanto la sinistra potrà recuperare nel consenso e nel sostegno da parte dell’opinione pubblica.
In Liguria, salvo alcune elezioni comunali di minore importanza, i riflettori sono puntati sulle elezioni regionali del 2020. Per battere Giovanni Toti che quasi certamente sarà riconfermato alla testa d’una coalizione di centrodestra, la stessa che lo sta sostenendo, ci vorrà un candidato di peso che per il momento non è facile da identificare perché pare impossibile ripescare qualche vecchio leader ormai bruciato, ma non è facile far emergere nuove personalità di rilievo. Nessuno è emerso anche nel gestire l’opposizione, sia in Regione sia nel comune capoluogo. Nel Pd si respira una boccata d’aria fresca (in Liguria per ora meno che altrove). Ma basterà?
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