Modello Genova: convince oppure ha, sottobosco, degli avversari?
di Paolo Lingua
Il “modello Genova” è un valore acquisito, oppure serve solo per lanciare degli slogan in un momento di grande crisi come l’attuale? Purtroppo emergono, ogni giorno che passa, dei dubbi. Ma sarebbe un autentico dramma se fosse usato – a tutti i livelli politici – sono come uno slogan di quelli che servono a “riempirsi la bocca” e, come è tristemente un costume italiano, per guadagnare tempo e spazio.
In queste settimane si discute, sino all’esaurimento dei nervi, della possibilità di recuperare e di impiegare, in tanti settori, i fondi europei al fine di spingere la ripresa economica nel nostro Paese. Ma non ci sono accordi, anche all’interno del Governo, sul Mes. Non si sa ancora che cosa uscirà dalle decisioni europee con lo scontro tra l’Europa del Mediterraneo e i cosiddetti “paesi frugali” del Nord. La crisi economica è pesante in tutti i settori e, di fatto, in tutti i Paesi.
Occorrerebbero colpi di reni e azioni rapide. Ma le divisioni politiche e i conflitti di interessi che navigano sott’acqua in realtà sono “presenze” sempre pronte a mettere i bastoni tra le ruote di qualsiasi riforma. E’ un difetto storico.
Ma veniamo al “modello Genova”. E’ consistito, semplicemente, a ricostruire in due anni il ponte autostradale di Genova crollato. Un dramma che oltre 43 vittime innocenti ha bloccato i collegamenti degli spostamenti civili e del trasporto merci (soprattutto proveniente o diretto da e ai porti della Liguria). Un danno economico incalcolabile che si è aggiunto alla tragedia del coronavirus. La ricostruzione è stata strutturata dal governo e dagli enti locali sulla gestione commissariale del sindaco di Genova che ha affidato a importati ed eccellenti imprese di divello internazionale la ricostruzione che ha scavalcato i quattro quinti della burocrazia vigente (ma che ha comunque impedito comportamenti illeciti o infiltrazioni malavitose).
Non è detto che il sistema commissariale sia riproducibile alla lettera in tutti i casi di grandi opere pubbliche, ma è chiaro che, per avviare una ripresa economica (e occupazionale) tramite le grandi opere che sono state sempre, nei momenti di crisi generale, una metodologia di recupero fondamentale (basterebbe pensare agli anni Trenta del secolo scorso) di tutto il sistema economico.
Quindi il “metodo Genova” va applicato in larga parte, anche con una riforma del cosiddetto “codice degli appalti”, per impiegare i finanziamenti europei e puntare, senza esitare, alla ripresa. Il presidente del consiglio, Giuseppe Conte, va ripetendo questo concetto da tempo ma lasciando l’annuncio a volare nel vento, senza interventi reali. Nel frattempo sono emerse, a molti livelli, critiche di natura giustizialista. Si temono, come sempre, azioni malavitose, decisioni che scavalcano tutti i dubbi (in particolare ambientalisti) di carattere moralistico. In particolare c’è l’opposizione del M5s e di molti ambienti dell’estrema sinistra. Oscilla il Pd che è fortemente tentato di dire di sì ma teme critiche dalle ali radicali del partito. Favorevole gran parte del centrodestra e i renziani.
Basterebbe citare le ultime “sortite” con la ripresa die lavori della Tav (Torino-Lione) o la realizzazione della Gronda in Liguria. Ma sono emersi altri “no” palesi e occulti in molte altre parti dell’Italia. Ci sono molti settori politici e ideologici che amano applicare a tutti i progetti di sviluppo maglie di ferro (anche di filo spinato) in un clima di sospetto e di controllo feroce. E’ un giustizialismo occulto ma anche palese che ormai si aggira, come un virus, in Italia da quasi trent’anni. Lo si può battere solo con riforme semplici, con tagli di burocrazia e di norme assurde a contraddittoria e con la volontà politica e d economica di agire. In questo Genova è stata davvero un modello.
Ma forse il dramma in sé del crollo e un certo disinteresse nazionale per la Liguria hanno consentito al sistema commissariale di agire indisturbato. E’ probabile che questa vicenda abbia infastidito olfatti presunti delicati. Anche se ha certamente ragione il sindaco Marco Bucci che ha pensato di applicare il sistema per un progetto più vasto per la ripresa del sistema portuale.
C’è da augurarsi che il progetto di riforma, al quale ha partecipato attivamente l’on. Raffaella Paita di Italia Viva, passi e sia accolta al livello di Palazzo Chigi, superando i malesseri gratuiti di chi forse crede ancora, irrazionalmente, nella assurda visione della “decrescita felice”.
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