Liguria, territorio fragile tormentato dalle allerte
di Paolo Lingua
Gran parte del territorio della Liguria si adagia su una faglia fragile, con un terreno franoso che posa sulla roccia impermeabile. Nel corso del tempo, soprattutto nel corso dell’ultimo secolo, gli interventi stradali ed edilizi si sono infittiti e in pratica larghe parte del territorio hanno subito autentici massacri, tenendo conto che la cultura della prevenzione è cresciuta nel tempo e solo negli ultimi trent’anni è diventata oggetto di dibattito (e di polemica pubblica) in campo politico e amministrativo. Non solo: con una forte accelerazione degli ultimi tempi vaste superfici dell’entroterra e addirittura interi borghi hanno subito l’abbandono della presenza dell’uomo, sia sul piano della lavorazione agricola, sia sul piano abitativo. Diroccamenti di edifici, frane, crolli, sbriciolamenti di roccia si sono accompagnati a gravi danni anche in centri abitati di maggiori dimensioni se non addirittura nel capoluogo. Considerato poi che i corsi d’acqua della Liguria sono tutti i natura torrentizia, con mesi e mesi di secca e poi, in seguito a grandi piogge, con gravissime esondazioni, si ha una situazione perennemente di pericolo. Al di à di differenti e specifiche cause o responsabilità penali, la Liguria, dopo molte inondazioni e danni di ogni genere dal 1970 a oggi, anche con molte vittime, ha ondeggiato tra puntare a una politica di massiccia programmazione di interventi di messa a punti e operazioni saltuarie. Oggi, se ripensiamo alla lunga giornata di allerta rossa che ci attende domani dall’alba sino alle 21 (sperando in un miglioramento in giornata), ci dobbiamo rendere conto che non si può più tergiversare e neppure pensare ad agire mettendo toppe qua e là. Nel corso dell’ultimo mese soprattutto nell’entroterra del Ponente (Savona e Imperia) ci sono state decine di casi di strade crollate, di smottamenti, di valanghe di terriccio per non parlare di frazioni e paesi isolati anche parzialmente per molti giorni. Per non parlare, a partire dall’anno scorso, del crollo del ponte Morandi, del disastro della strada di Portofino, del crollo del ponte sull’autostrada Savona-Torino, dei danni a viadotti e ponti minori. Tra tante disgrazie è andata bene (si fa per dire) in parte a Genova dove i lavori già avanzati per mettere a regime il Bisagno e i suoi affluenti più pericolosi hanno evitato i gravi problemi subiti in passato. Ma come si può agire, a questo punto? I Comuni, la Regione, lo Stato devono mettere a punto un progetto che non può essere identificato come un “tampone”, come avviene quando si punta a chiedere lo stato di calamità, una dimensione giustissima ma che punta al recupero in fretta e furia di fondi, non sempre sufficienti, per rimediare ai guasti del momento. In realtà – e il discorso va oltre la Liguria – occorrerebbe un progetto nazionale di analisi idrogeologica dei territori più a rischio con un programma di interventi precisi e mirati. Certamente sarebbe un progetto molto costoso e oneroso per lo Stato. E’ altrettanto vero però che poi, quando intervengono i danni, le spese sono certamente maggiori e non sempre adeguate e complete. E allora? In realtà, anche in un passato recente si è percepita nettamente una certa “pigrizia” mentale da parte del mondo politico a intervenire sul piano della difesa del territorio. Se non incombono pericoli palpabili certe spese non sembrano restituire il favore dell’opinione pubblica. In passato è certamente stato così. Oggi, al di là della maggiore sensibilità ecologica dei giovani, ci si sta muovendo, a tutti i livelli, su rotte differenti rispetto al passato. Incombe una nuova cultura che è legata anche al benessere e alla sicurezza: Riflettiamoci ancora mentre attendiamo l’ennesima allerta rossa, in parte frutto dei cambiamenti climatici che stiamo subendo e che fanno cambiare le nostre abitudini.
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