Le (mini)riaperture con qualche confusione

di Paolo Lingua

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Le (mini)riaperture con qualche confusione

Era più che prevedibile che le poche riaperture (non eguali da regione a regione) creassero qualche equivoco e qualche confusione. L’esempio più vistoso a Genova è stato quella della maggior libreria del centro, la Feltrinelli, davanti alla quale stamani s’erano accalcate sin dalle 8 alcune decine di persone in coda. Ma alle 9, ora prevista di apertura, s’è appreso che per alcuni giorni la libreria resterà chiusa perché ci sono troppi problemi ancora irrisolti. Molto singolare e inaspettata la coda a un’ora dalla riapertura; prevedibile la ripartenza dubbiosa della libreria. I problemi restano gli stessi: la difficoltà d’un accesso con il contagocce, il contatto dei clienti con i libri esposti, la difficoltà di gestire gli spazi. Un discorso che vale, pure con concetti differenti, sia per le strutture di grande superficie, sia per quelle che hanno spazi angusti. Ma questo aspetto i nostri politici e amministratori pubblici dovranno tenerlo sempre presente via via che si proseguirà nelle riaperture. Anche perché, dopo alcune ore di ripresa, molti titolari di esercizio hanno dichiarato che la prosecuzione di attività, per il momento, è solo una sorta di prova e che, se non ci saranno riscontri positivi o nasceranno problematiche organizzative, si tornerà alla chiusura e, in alcuni casi, si continuerà con la vendita a domicilio. I dubbi e le incertezze sono ancora forti e non c’è ancora né ottimismo né entusiasmo. D’altro canto, a conferma di questo diffuso stato d’animo, ci sono i dati della diffusione del virus, dei ricoverati, degli infettati e dei decessi non ancora in netta flessione. I dati sono fluttuanti di giorno in giorno e non c’è ancora nulla di veramente certo.

Non c’è dubbio che si oscilla, come opinione diffusa, tra la paura dell’infezione e il desiderio di tornare alla normalità e di riprendere il lavoro e quindi l’occupazione e la ricrescita dell’economia perché le prospettive si fanno sempre più preoccupanti. La politica, in un clima confuso di elezioni annunciate e rinviate, punta a guadagnare il favore dell’opinione pubblica ma al tempo stesso non vorrebbe scontentare il mondo imprenditoriale che preme per la ripresa, anche perché la situazione mondiale peggiora di giorno in giorno, con la crisi dei mercati e il crollo del prezzo del petrolio, nonostante il taglio della produzione.

Ma se molti settori, in particolare quelli macro-industriali (meccanica, tecnologia d’avanguardia, elettronica, ricerca avanzata, settore auto, ecc.), hanno la possibilità d’una ripresa graduale, così come ambiti d’eccellenza come la moda, ci sono degli spazi produttivi, anche da vasto giro d’affari, che presentano grandi difficoltà, proprio per l’impatto del coronavirus. E’ il caso del turismo e, per stretta connessione, delle vacanze al mare. Quasi tutte le regioni italiane, e la Liguria in particolare, sono obiettivamente in ginocchio. Le difficoltà di sanare gli spazi e i servizi con sistemi di disinfezione sono molto alte. E questo aumenta la diffidenza dei potenziali turisti che vedono negli stabilimento balneari luoghi ad alto rischio di contagio, anche perché si teme la nascita di nuovi focolai, pure se per la fine di marzo si spera in una quasi scomparsa dell’infezione. Negli stabilimenti balneari, con tutta la buona volontà, la promiscuità è fisiologica. E non è facile, come già abbiamo scritto nei giorni scorsi, tenere sotto controllo in continuazione docce, cabine e servizi igienici. Per non parlare di zone di ristoro e bar. Oggi è emersa la proposta di creare divisioni di plexiglas tra gli ombrelloni in spiaggia. Ma la proposta, nel volgere di poche ore, è crollata per la quasi impossibilità di realizzarla. La questione del turismo balneare è una ferita aperta in Liguria. La Regione ha dato il permesso, per il momento, di mettere in atto ristrutturazioni e predisposizione dell’assetto degli stabilimenti, senza però dare il via libera alla riapertura degli stessi. Molti titolari, pur desiderosi di riaprire in un modo o nell’altro, sono però incerti e titubanti. Si potrà aprire a giugno o a luglio? E se a settembre riapriranno le scuole la stagione avrà un nuovo taglio? Varrà comunque la pena riaprire comunque vada? E se scoppiassero nuovi focolai infettivi? Si va avanti, anche la politica che sotto sotto è sempre a caccia di consensi “facili”, allo sbando, strizzando l’occhio alla buona sorte, molto all’italiana.