La riapertura senza l'acciaio

di Paolo Lingua

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La riapertura senza l'acciaio

La riapertura di gran parte di attività commerciali, artigianali e industriali avviene a Genova con il grave stop del settore della siderurgia. Oggi manifestazione di protesta, scioperi e scontro con Arcelor Mittal, che si sottrae ai confronti e che approfitta, con molta spregiudicatezza, di un momento difficile del governo, alle prese con gli infiniti problemi del coronavirus. A questo punto, volendo dare alla vicenda un giudizio generale, si deve ammettere che aver consentito l’acquisto della ex Ilva al colosso mondiale Arcelor Mittal è stato un errore. All’indomani dell’accordo con i governi italiani che se ne sono occupati (centrosinistra, Conte 1 con Lega-M5s, Conte 2 con Pd-M5s) la situazione è ruzzolata e, per certi aspetti, non se ne comprende neppure la conclusione: Arcelor Mittal si ritirerà dall’azienda restituendola allo Stato con un possibile ritorno di gestione come ai tempi della Finsider? Complicata compartecipazione? Vendita a un altro privato che, allo stato dei fatti, non esiste?

Per la verità, ancora ai tempi del governo Gentiloni, era sembrato che l’allora ministro Calenda si fosse districato abbastanza abilmente con i primi rapporti con Arcelor Mittal. Poi la situazione è degenerata su molti piani. In primo luogo è emersa la questione dello “scudo penale” per eventuali responsabilità imprenditoriali legate alla questione del grave inquinamento di Taranto (che è una realtà precedente all’ingresso di Arcelor Mittal), un punto che non è stato risolto come chiedeva (strumentalmente?) il gruppo sopranazionale, forse per gli impuntamenti grillini. Poi, però, si è passati ai tagli dei dipendenti, al massiccio ricorso alla cassa integrazione che ha coinvolto non solo la struttura produttiva maggiore di Taranto, ma anche gli stabilimenti di Genova e di Novi Ligure che pure sembrano in condizioni operative migliori    e non hanno problemi di inquinamento del territorio.

Nei giorni scorsi è scattato un nuovo ricorso alla cassa integrazione per 200 dipendenti che ha investito Genova che pure aveva ripreso anche perché risulterebbe che l’azienda ha importanti commissioni produttive e che quindi ci sarebbe spazio per lavoro e occupazione. La Fiom – Cgil, come è già stato annunciato, ha deciso di presentare un esposto alla Procura della Repubblica di Genova perché l’azienda avrebbe fatto un “utilizzo illegittimo della cassa integrazione”, approfittando del coronavirus che però non coinvolge alcun dipendente dello stabilimento di Cornigliano. La situazione, inutile negarlo, si è fatta pesante e minaccia di peggiorare nei prossimi giorni e comunque in futuro. Al di là delle difficoltà di carattere generale che sta attraversando, il governo non ha possibilità eccessive di movimento e di trovare una mediazione soddisfacente per entrambe le parti. Non è chiara, obiettivamente, la strategia di fondo di Arcelor Mittal che è la più grande impresa siderurgica d’Europa e una delle maggiori del mondo. L’azienda, in passato, ha fatto riferimento a una crisi siderurgica mondiale che sarebbe sopravvenuta a cominciare da tre anni fa, al momento dell’acquisizione dal regime commissariale che era subentrato al gruppo Riva che a sua volta aveva acquisito l’azienda dalla Finsider.

La situazione si è fatta sempre più complessa con tavoli tempestosi di trattativa che hanno visto l’impresa franco-indiana, il governo e sindacati quasi sempre divisi su tutto. Anche al livello politico c’è molta incertezza, dal Pd che accetterebbe il ritorno alla statalizzazione dell’ex Ilva per mantenere produzione, occupazione e, per quel che riguarda Taranto, una bonifica del territorio su cui insiste in particolare la Regione Puglia e il M5s in passato (ancora recente) incline alla chiusura in funzione di nuove strategie “ecologiche” su Taranto. Ma Genova e Novi Ligure sono realtà diverse. Ma non possono continuare a esistere da sole staccate dal complesso sistema produttivo. Anche perché hanno ormai solo la produzione “a freddo” non inquinante, ma che, per molti aspetti, come catena produttiva, dipende dalla produzione “a caldo” di Taranto. La preoccupazione dei sindacati è che Arcelor Mittal tenda a usurare la corda della trattative per puntare a una eventuale rottura e a un ritiro unilaterale dall’acquisizione della ex Ilva? Non si comprende bene se si tratta di un progetto premeditato oppure una modifica operativa del gruppo.

Restano comunque le forti preoccupazioni per Genova anche perché lo stabilimento di Cornigliano, ormai con un organico inferiore ai mille dipendenti, rappresenta un caposaldo occupazionale per Genova, considerato anche le attività connesse. Sono ormai lontani – ma solo di trent’anni – i tempi in cui la siderurgia genovese era la capitale italiana del settore con oltre 15 operai (e altrettanti occupati nelle aziende private corollarie) e circa duemila impiegati e dirigenti perché era la sede nazionale di quella che è stata alle origini l’Ilva (poi diventata Italsider e poi ancora Ilva).

A livello locale, con riferimento a Comune e Regione, non mancano le preoccupazioni. Genova ha molti problemi in tutti i settori produttivi e gran parte delle imprese (soprattutto a capitale pubblico) sono pesantemente ridimensionate e sono quasi estinte, nel giro di un quarto di secolo. Molte scommesse, legate in particolare al mondo dello shipping ma non solo, sono connesse – in termini concreti ma anche sul piano psicologico – alla ripresa del funzionamento del ponte autostradale prevista per la fine di luglio. Ma una struttura stradale ha bisogno di merci che la percorrono. Se si blocca la produzione o si ridimensiona in maniera vistosa, la situazione economica si fa critica. Per questo, la battaglia nata per l’impianto siderurgico stride con la giornata delle riaperture nella quale, anche forzatamente, si cerca di versare un po’ di ottimismo