La lunga grigia strada del Pd

di Paolo Lingua

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Il Punto di Paolo Lingua

La lunga grigia strada del Pd
Dopo la sconfitta alle elezioni regionali del 2015, Matteo Renzi è stato alla larga da Genova e dalla Liguria. Aveva puntato sulla scelta di Raffaella Paita, voluta dall’ex presidente della Regione, Claudio Burlando. Dopo quella prova negativa tutto è andato male per il Pd e per i suoi alleati in Liguria: via via la sinistra ha perduto i comuni un tempo autentiche fortezze come Genova, Savona, La Spezia, Sarzana. Sono andati in  briciole i tentativi  di recuperare voti nelle province di Ponente. Ora, sia pure nella frettolosità d’un tour nazionale, alla vigilia della finalissima delle “primarie” per una nuova leadership del partito, arriva stasera a Genova. Sarà un “tocca e fuggi” in un clima reso ancora più nervoso dalla vicenda dei genitori agli arresti domiciliari in quanto indagati per presunti reati finanziari delle loro aziende. Renzi nei giorni scorsi ha puntato a distinguere la sua posizione personale che non c’entra per nulla nell’azienda dei genitori, ma ha anche ritenuto l’arresto, sia pure ai domiciliari,  un provvedimento eccessivo. Ma il problema reale, al di là del clamore mediatico, va al di là della sua vicenda familiare. Renzi non corre per la segreteria, ma lui e il suo gruppo, pur oggi in minoranza, sono una realtà ingombrante per le future strategie della sinistra.  Renzi, sia pure con mille distinguo, è più vicino a Martina e assai meno a Zingaretti che punterebbe a un recupero del voto a sinistra perduto e a voltare pagina rispetto all’immediato passato caratterizzato da due pesanti sconfitte, quella del referendum e quella delle elezioni politiche dell’anno scorso. Il Pd non ha un orizzonte roseo (chiunque vinca la segreteria) e avrà vita dura alle elezioni  europee. L’unica sua speranza (anche per le prossime elezioni regionali parziali) è che il M5s, stravolto dalle contraddizioni e da una evidente difficoltà a governare, recede al terzo posto tra le coalizioni politiche. Questo gli restituirebbe, sul filo della logica, il ruolo di opposizione ufficiale al centrodestra. Una posizione per recuperare consensi, sia pure lentamente, consensi nel tempo e tentare, entro una decina d’anni, una rivincita. Ma la situazione politica nazionale, salvo colpi di scena, non è così semplice e schematica. Salvini per adesso non sembra intenzionato a rompere l’alleanza con Di Maio, perché gli conviene (o almeno lui lo crede), perché gli converrebbe un alleato sempre più indebolito, pronto a cedere alle sue richieste piuttosto che far saltare il Governo. E’ indubbiamente ovvio che, nel caso d’una uscita dal governo, i “grillini” sarebbero condannati a una recessione senza freni, come capita sempre ai movimenti d’opinione “gonfiati” e cresciuti in fretta. Salvini non sembra intenzionato a tornare all’alleanza con Berlusconi che, imponendo a Forza Italia una posizione liberale e moderato-centrista, sta recuperando più che i voti i consensi della classe dirigente e imprenditoriale. Ovviamente, in una situazione tanto fluida, tutto può succedere anche perché le scelte strategiche ed economiche del governo sono ogni giorno più fragili e contraddittorie. In tutto questo confuso sobbollire più di reazioni istintiva e volte a recuperare favori dall’opinione pubblica più fragile e mobile, resta la posizione contraddittoria del Pd e della sinistra che pure avrebbe una grande spazio per muovere l’opinione pubblica sfruttando gli errori del governo. Ma il Pd, perso il leader di riferimento quale era certamente Renzi, è fermo sul poco emozionante duello tra i colonnelli rimasti in campo a contendersi un partito fiacco dai difficili riferimento nella società. Renzi, pur polemico e “puntuto” per ora è fuori gioco e si è reso conto, se mai lo ha pensato, che fondare un nuovo movimento non porterebbe da nessuna parte. E’ un “incomodo” in casa propria? E’ probabile, ma sarebbe curioso capire quali carte vincenti conta di aver in mano per far saltare il banco.

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