Ilva, con l'arrivo di ArcelorMittal finisce un'era

di Paolo Lingua

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Ilva, con l'arrivo di ArcelorMittal finisce un'era
E allora, come da molti è stato scritto e sottolineato, la storica industria siderurgica Ilva, di marchio tutto italiano da sempre, abbassa la bandiera e passa sotto le insegne internazionali di Arcelor Mittal. Sono passati 123 anni dalla fondazione ufficiale dell’ Ilva un’azienda che ha conosciuto nella storia alti e bassi, in particolare in occasione degli anni delle due guerre mondiali, con crescite dilatate e crisi immediatamente successive e anche con un periodo, dagli anni Cinquanta agli anni Ottanta, nei quali si è chiamata Italsider, espressione della maggior finanziaria Finsider del grande impero dell’Iri. Sarebbe estremamente complesso riflettere sulla storia e sul ruolo dell’azienda che nasce a Genova in coda alle tante iniziative dell’impresa pubblica italiana(a cominciare dagli anni in cui il Regno di Sardegna era governato di fatto da Camillo Benso di Cavour) per dar vita a una vigorosa spinta di crescita. Cavour aveva individuato a Genova, per via del porto, la sua location ideale. Decollarono l’industria meccanica (Ansaldo) con navi, treni, strutture meccaniche e industria di guerra. La siderurgia, ovviamente, era complementare determinante. Superate le epoche in cui era importante avere un’industria di pace e un’industria di guerra, la siderurgia fu impiegata in funzione dell’industria di trasformazione (automobili, beni di consumo casalinghi). Per la Genova del secondo dopoguerra, la ex Ilva poi Italsider, fu uno dei motori della ripresa della città. Genova era la sede della direzione nazionale: toccò i duemila addetti per i palazzi della direzione in Carignano e i 13 mila addetti tra Cornigliano e Campi. Va ricordato che il colosso dell’acciaio dava vita indirettamente a una filiera di piccole e medie imprese collaterali con quasi altrettanti addetti. Fu uno degli assi politici dell’accordo ufficioso ma determinante tra Paolo Emilio Taviani leader indiscusso della Dc in Liguria e la Confindustria che a Genova poteva contare su un punto di riferimento prestigioso come Angelo Costa. Per restare sempre sul piano strettamente politico non va dimenticato che nel volgere d’un quarantennio, il mondo dell’acciaio (ma di conseguenza tutto  il settore della grande industria che a Genova negli anni del maggior splendore superava i 50 mila addetti) fu il campo d’un patto non scritto tra il potere politico democristiano (e in parte dell’industria privata) e i sindacati e il Pci. Genova, salvo alcuni episodi di tensione politica, conobbe una sostanziale pace sociale. Oggi il discorso, all’indomani dell’acquisizione definitiva da parte di Arcelor Mittal, non è del tutto placato dal punto di vista della tregua sindacale. In effetti, un po’ di taglio c’è stato. Dei poco meno di 14 mila dipendenti in tutta Italia, nei tre stabilimenti mdi Taranto, Genova e Novi Ligure, gli occupati riassunti dai nuovi acquirenti dovrebbero essere 10.700: Poco meno di tremila dovranno essere o prepensionati o comunque in qualche modo ricollocati, anche con l’intervento del Governo.  Genova ha un passaggio delicato. Solo tre anni fa aveva circa 1700 dipendenti poco scesi poco sotto i 1500. Secondo l’accordo di acquisto i dipendenti dell’acciaieria a freddo di Cornigliano dovrebbero essere un migliaio o poco più. Ci sono grosso modo 400 lavoratori da sistemare e che non possono, per motivi di età, essere tutti prepensionati. E anche se sinora si è giocato con la cassa integrazione e con i lavori socialmente utili, la situazione non ‘è del tutto chiara né tranquilla. Soprattutto la Cgil intende, a tutti i livelli, riprendere la discussione al tavolo sindacale con la nuova proprietà per cercare di alzare i paletti dell’occupazione, puntando sul fatto che Arcelor Mittal, nel corso della trattiva con il Governo ha preso impegni per investimenti e potenziamento dell’azienda. Si minacciano scioperi e nuova agitazioni. L’orizzonte, insomma. È tutt’altro che sereno.

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