Il voto sulla piattaforma Rousseau complica alleanze e candidature
di Paolo Lingua
Appena è stato reso noto l’esito del voto del M5s sulla piattaforma Rousseau, Alice Salvatore leader ligure dei grillini in Regione si è affrettata a dichiarare il suo “no” a una alleanza con il Pd alle prossime elezioni regionali in Liguria. Ancor prima dell’ esito del referendum la Salvatore non aveva nascosto la sua contrarietà a una lista comune con il Pd. Tra i due partiti ci sono state, in Liguria, non poche polemiche, che non si sono quietate neppure dopo la costituzione dell’accordo di Governo tra i due partiti. E’ emerso dal voto on line che la base grillina non intende lasciare la competizione elettorale e che, comunque, opta per correre da sola e non alleata del Pd.
D’altro canto sarebbe complicato, come spingono i grillini, trovare candidati esterni neutrali a formulare, regione per regione, programmi di complesso equilibrio di programmi. Ormai è una vecchia storia che si riflette anche sulla vita quotidiana e sulle strategie del governo, dove è difficile e arduo trovare una quadra sulle scelte operative, sia sulle questioni di tipo industriale (Arcelor Mittal per esempio) sia sulla legge finanziaria che deve essere poi sottoposta ai controlli europei che hanno già espresso non poche perplessità, anche se con successivi controlli e verifiche nella prossima primavera.
Da quello che si è capito sinora è che il M5s andrà a correre da solo, senza alleanze e con un candidato autonomo, in Emilia Romagna e in Calabria, i primi due appuntamento di elezioni regionali del 2020. E’ difficile prevedere che cosa accadrà, anche con conseguenze di livello nazionale, ma sembra assai arduo che Pd e M5s possano dar vita a una alleanza coordinata per le elezioni regionali in Liguria, prevista tra maggio e la prima settimana di giugno. Anche perché, se il governo dovesse cadere, nello stesso periodo potremmo anche avere le elezioni politiche. La situazione nazionale appare assai confusa e contraddittoria e il clima di contrasti su singole proposte e interventi operativi dell’esecutivo sembra acuirsi invece di distendersi in accordi di massima. In realtà Pd, M5s, Leu e “Italia Viva” hanno progetti, contenuti, strategie e obiettivi differenti. Ognuno, soprattutto i tre partiti maggiori, punta a recuperare voti e consensi dalla eventuale crisi dei “vicini”.
Matteo Renzi in questo contesto punta a premere con le sue scelte sul governo per piegarlo alla sua linea, ma non vuole la rottura perché sinora non ha raccolto abbastanza sostegno. I grillini sono divisi tra l’ipotesi di tornare a essere una partito di opposizione con contenuti polemici e moralistici. Il Pd oscilla tra restare al governo ed eventualmente andare al voto per bloccare Renzi e cogliere un crollo del M5S, vecchia tesi di Zingaretti che puntava a diventare l’alternativa assoluta e a un sistema bipartitico, centrodestra contro centrosinistra. In tutta questa vicenda, al di là del rituale mediatico di vaga chiarezza che è la piattaforma Rousseau, la situazione politica resta immersa in un mare di contraddizioni e di strategie differenti, destinate ad accentuarsi giorno dopo giorno. In pratica, si andrà verso la prima prova elettorale, quella emiliana che appare la più importante anche per le dimensioni della regione e della sua storia politica specifica, nel contesto d’un nevrotico conto alla rovescia.
Nel frattempo sono emersi i movimenti di piazza, spinti dai giovani, con il movimento cosiddetto “delle sardine” le cui conseguenze sul piano operativo concreto per adesso non sono del tutto chiare. Non è ancora comprensibile se il momento d’opinione, emotivo di piazza, potrà trasformarsi in azione politica concreta e sul piano di quale alleanza. Per adesso si naviga a vista.
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