Il Piano Marshall di Salini
di Paolo Lingua
Un nuovo “Piano Marshall” per la ripresa dell’economia italiana è l’idea che Pietro Salini ha lanciato a Genova, quando il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, è venuto a Genova per l’innalzamento dell’ultima campata del ponte (di cui di discute il possibile nome) ricostruito a tempo di record. Un concetto che ha ribadito nella visita successiva della presidente del Senato Casellati, e poi ancora, in termini più concreti, in una intervista a un quotidiano nazionale. Come molti ricordano il “Piano Marshall” fu lanciato nel 1947 proprio dagli USA verso l’Europa e con particolare occhio sull’Italia per puntare alla rinascita economica di un continente di altissima civiltà come uscito semidistrutto dalla guerra. Per l’Italia fu la scossa che ci voleva, tanto è vero che per un quarto di secolo il Paese crebbe vorticosamente in tutti i settori dell’economia. Li ricordiamo ancora come “gli anni del boom”. Anche il nostro livello di vita, di abitudini e di consumi fece un salto di qualità forse irripetibile.
L’azienda di Pietro Salini, che punta per la fine dell’anno in corso a una fusione con il gruppo Astaldi che aumenterebbe in maniera esponenziale le sue dimensioni e il suo potenziale, proprio in Liguria è impegnato a due grandi opere di interesse pubblico di grnde strategia: oltre alla ricostruzione del ponte, è in corso (e prosegue speditamente) la realizzazione del Terzo Valico ferroviario che dovrebbe dar vita a una linea di “alta capacità” (e velocità) che potrebbe portare entro pochi anni a una rivoluzione trasportistica, sia per i cittadini, sia per le merci con preciso riferimento al traffico portuale.
Salini sostiene che, nonostante la crisi, le banche italiane sono ricche di liquidità perché una grande parte dei titolari di depositi e dei risparmiatori non investono per un diffuso atteggiamento di sfiducia nei confronti del sistema. Ma la disponibilità ci sarebbe e se le opere pubbliche restituissero interessi e . indirettamente ricchezza e benessere diffusi varrebbe la pena, acciuffando la crisi provocata dal coronavirus, di puntare a una soluzione che farebbe circolare più di cento miliardi in prima battuta. Ci vuole, per far scattare la svolta positiva, un atteggiamento concreto da parte dei vertici della politica e delle istituzioni. Al di là dei limiti, noti a tutti, della burocrazia e del guazzabuglio di leggi e leggine frenanti, l’imprenditore ritiene che negli ultimi decenni in Italia s’è accentuata una volontà “punitiva” nei confronti di eventuali errori e di limiti nelle opere pubbliche e un atteggiamento sospettoso che è stato di fatto sempre frenante. Le opere pubbliche urgenti hanno così trovato il loro vero nemico che è il “rallentamento” burocratico, ma anche giudiziario e strutturale. Questo ha spostato altrove le imprese e ha reso sempre più diffidenti gli investitori.
L’Italia in effetti è in ritardo per quel che riguarda molte strategie: lo hanno dimostrato i limiti venuti alla luce nel campo ospedali nel momento della curva più alta dell’infezione. Ma sono in ritardo anche e soprattutto strade, ferrovie, comunicazioni urbane ed extra-urbane, oltre che realizzazioni per rendere più aperti e accessibili porti e aeroporti. Genova, che è sempre alla rincorsa di approdi e deve rendere più recettivo il suo porto per le navi di ultima generazione, è un esempio lampante. Ma, al di là dei limiti di carattere locale che hanno visto infinite volte gli stessi imprenditori dello shipping e dei settori connessi, in feroce rissa tra di loro con raffiche di veti incrociati, è mancata certamente una strategia portuale e marittima a livello di governo in grado di tenere testa alla concorrenza internazionale. Un discorso collegato ai ritardi per i raddoppi autostradali e delle ferrovie ad alta velocità, scelte sovente ostacolate da visioni arretrate di tipo ecologistico e per dispetti politici. Anche di questo Genova, un po’ durante tutte le gestioni politiche e amministrative, è un campo testimoniale poco meritevole.
La proposta-provocazione di Salini appare più interessante d’una generica manifestazione di opinione. Cade nel momento storico più idoneo. La crisi trascinata degli anni scorsi è diventata un trauma con il coronavirus. Abbiamo bisogno davvero, come dopo una guerra mondiale (e l’infezione diffusa lo è) di un nuovo “piano Marshall”. Ma senza perdere tempo con troppe discussioni, convegni e filosofie campate in aria.
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