Il “dibattito pubblico” sulla diga nella speranza di non perdere tempo
di Paolo Lingua
Sono ormai molti anni che Genova e le sue istituzioni parlano (e annunciano) della realizzazione dell’allargamento a mare della diga foranea, grande opera realizzata un secolo fa, in seguito alla lungimirante e generosa donazione al nostro porto da parte dei Duchi di Galliera. E’ ovvio che la struttura di protezione dello scalo e dei suoi attracchi ai moli ha fatto il suo tempo ed è necessario, sulla base delle nuove tecnologie, allargare gli spazi di ingresso, di manovra e di attracco delle navi – merci e passeggeri – di ultima generazione. In questo contesto è importante anche il dragaggio dei fondali per consentire il passaggio delle nuove unità. L’allargamento a mare della diga non è solo utili ma è soprattutto necessario per reggere la concorrenza mondiale dei nuovi sistemi di traffico. Ma, come quasi sempre succede a Genova, della questione si parla e si discute da anni. Adesso siamo di fronte ad alcune novità. Da parte del potenziale delle disponibilità del Recovery Fund sembra che per lo spostamento della diga sia possibile accedere a 500 milioni di euro, una cifra considerevole per decollare, ma lontana dal costo complessivo. In questa chiave sono già sorti contrasti, anche a livello governativo, sulla consistenza concreta della cifra: critici gli esponenti renziani, favorevoli i grillini, ondeggianti gli esponenti del Pd. Oggi poi, con una presentazione che ha visto in prima linea le istituzioni nazionali e locali, oltre i possibili gestori della realizzazione, si è annunciato un piano di “dibattito pubblico” per discutere su tutti gli aspetti del progetto. Non è una novità: in un recente passato Marta Vincenzi, quando era sindaco di Genova, aveva lanciato, dopo la zattera di “Urban Lab” per i piani regolatori, anche il “debat publique” per mettere a fuoco con una discussione pubblica la questione della Gronda autostradale. A dire il vero erano state iniziative di insuccesso, perché si era perduto del tempo ed erano emersi, più che gli aspetti positivi dei progetti, i veti “non stop” quasi sempre privi di reale consistenza. Tanto è vero che della Gronda si discute ancora adesso, con annunci di decollo, mai realizzati, ogni due no tre mesi. Il dibattito pubblico sulla carta può essere un modello di valutazione di ampio respiro e collegato all’opinione pubblica, ma deve avere tempi rapidi e contenuti concreti. Altrimenti è una perdita di tempo che serve a giustificare i ritardi progettuali ed economico-finanziai delle istituzioni. Obiettivamente, è molto tempo che si discute dell’importanza dello spostamento a mare della diga foranea per poter accoglier le unità navali di ultima generazione. Si tratta di un’opera di servizio che deve rendere lo scalo di Genova più competitivo e all’altezza di reggere le nuove realtà economiche internazionali. Sia pure trattandosi di opere pubbliche profondamente differenti, il discorso sulla diga vale quello della Gronda. Avremmo bisogno che fossero da tempo realizzate e non oggetto di infiniti dibattiti da decenni. La Gronda avrebbe assorbito una parte dei servizi venuti meno con il crollo del Ponte Morandi e la Diga avrebbe consentito già all’Italia di accogliere passeggeri e merci, un potenziale la cui dimensione va al di là dell’attuale crisi economica frutto, a livello mondiale, della pandemia. Anche oggi, nel corso della presentazione del progetto, sono stati annunciati possibili nuovi finanziamenti per i prossimi mesi e il programma dei dibattiti. Speriamo che la faccenda non sia tirata troppo per le lunghe sia da parte del governo, sia da parte delle istituzioni locali. Genova ha già dovuto subite un ritardo quasi trentennale per far decollare il Terzo Valico di cui c’è urgente bisogno. Ora c’è da sperare che si trovi una strade veloce per la diga, che potrebbe essere, ma non si vede per ora una soluzione immediata, gestita e realizzata sul modello della ricostruzione del Ponte Morandi scavalcando leggi, leggine e la infinita burocrazia italiana, la più grande nemica della moderna economia.
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