Il caso Cella dopo 29 anni arriva in tribunale, accusa e difesa si sfidano sull'ammissibilità delle prove

di Emilie Lara Mougenot

9 min, 15 sec

L’ex capo della Mobile racconta le difficoltà della riapertura del caso. Cecere alla sbarra, Soracco e la madre accusati di favoreggiamento

Il caso Cella dopo 29 anni arriva in tribunale, accusa e difesa si sfidano sull'ammissibilità delle prove

Non è un caso se l'aula magna del tribunale di Genova è colorata di bianco e nero, è una grande scacchiera. È iniziata oggi una lunga partita, che si snoda tra accuse, testimonianze e ricostruzioni. Con il processo che ha preso il via, ogni mossa sembra calcolata, ogni dettaglio pesante come una pedina sulla scacchiera, pronta a cambiare l’esito della vicenda. A quasi trent’anni dal delitto di Nada Cella, il processo è entrato nel vivo con la testimonianza di Stefano Signoretti, ex capo della squadra mobile di Genova, che ha coordinato la riapertura delle indagini nel 2021. In aula, Signoretti ha evidenziato le enormi difficoltà nel reperire informazioni: “Abbiamo incontrato testimoni reticenti, in alcuni casi si è sfiorata l’omertà”.

Dinamica dell’inchiesta – L’inchiesta sull’omicidio di Nada Cella, avvenuto il 6 maggio 1996, è ripartita da zero quando, nel 2021, la Procura ha riaperto il caso. Il dirigente ha spiegato che è stato fondamentale affrontare il caso come se fosse accaduto il giorno prima, concentrandosi su tutti gli aspetti non ancora esplorati. Le indagini iniziali avevano subito diversi ostacoli: la scena del crimine era stata contaminata dai soccorsi, che avevano trattato la situazione come un malore, e la raccolta di prove scientifiche non era stata possibile a causa della mancanza di tecniche moderne, come l’analisi del DNA. Tuttavia, gli elementi di sangue rinvenuti sulla parete e un bottone trovato sotto il corpo della vittima non erano compatibili con un malore, facendo emergere fin da subito la possibilità di un’aggressione violenta. Nei giorni successivi al delitto, il nome di Anna Lucia Cecere emerse nelle indagini, ma la sua posizione fu rapidamente archiviata nel 1996 dalla Procura.
Un altro fattore che potrebbe influenzare significativamente l’esito del processo è la testimonianza di una persona che, nel 1996, dichiarò di aver visto una donna uscire dallo studio di Soracco, sporca di sangue, e salire su uno scooter. All’epoca, il testimone non riconobbe Cecere nelle foto segnaletiche mostrate dai carabinieri, ma a quasi 30 anni di distanza, si dovrà capire se confermerà quanto dichiarato in passato o se il suo racconto subirà nuove evoluzioni.
Le difficoltà nelle prime fasi investigative sono state evidenti. Subito dopo l’omicidio, infatti, i soccorsi, trovando Nada agonizzante e nell’emergenza di trasportarla in ospedale, sono intervenuti portando alla contaminazione della scena del crimine. L’analisi delle tracce di sangue nello studio tuttavia, hanno escluso la possibilità di una caduta accidentale, come dichiarato da Soracco al telefono quando chiamò i soccorsi, facendo emergere il sospetto di un’aggressione violenta. 
Quando vengono chiuse le prime indagini, una conversazione del 31 maggio 1996 tra Cecere e Soracco ha rivelato dettagli sul loro rapporto e ha sollevato ulteriori dubbi.
Con la riapertura delle indagini e l’acquisizione di nuove prove, Cecere è diventata nuovamente il principale sospettato. Nel 2021 è stata ufficialmente indagata e l’indagine si è concentrata su di lei, approfondendo la sua vita a Chiavari e i suoi spostamenti prima e dopo il delitto. È stato anche investigato il suo allontanamento dalla città e l’acquisto di una casa a Boves. Inoltre, la possibile eredità della nonna, ottenuta nel giugno del 1996, ha sollevato nuove domande su Cecere e il suo coinvolgimento.
Durante il processo, l’ex capo della Squadra Mobile, Stefano Signoretti, ha evidenziato le difficoltà nell’acquisire informazioni a causa dell’”omertà” diffusa tra i testimoni. La difesa di Cecere ha sollevato dubbi sulla validità delle prove e ha chiesto chiarimenti sull’archiviazione del caso nel 1996, nonostante le segnalazioni su di lei.

Intercettazioni e prove sotto esame – Un elemento cruciale nel processo riguarda l’ammissibilità di alcune intercettazioni telefoniche. La pm Gabriella Dotto ha richiesto l’acquisizione di una conversazione del 31 maggio 1996 tra Marco Soracco e il suo primo avvocato, Massimo Ansaldo. In questa telefonata, Soracco fa riferimento a una “signorina” conosciuta dagli inquirenti, che per la Procura sarebbe proprio Anna Lucia Cecere, sebbene non venga mai nominata esplicitamente. La difesa ha contestato la validità dell’intercettazione e ha richiesto la sua esclusione come prova. Tuttavia, la pm Dotto ha insistito sulla legittimità della registrazione, affermando che non rientra tra le comunicazioni coperte dal segreto professionale e rappresenta un indizio significativo che Soracco fosse a conoscenza di Cecere e della sua possibile presenza nello studio al momento del delitto. Un altro punto controverso riguarda una telefonata anonima ricevuta da Marisa Bacchioni, madre di Soracco, poco dopo l’omicidio. La voce femminile nella registrazione affermava di aver visto una donna sporca di sangue uscire dallo studio e allontanarsi su uno scooter. La difesa ha chiesto l’esclusione di questa prova, sottolineando che l’autore della chiamata non è stato identificato e che, quindi, non dovrebbe essere considerato un elemento affidabile. La pm Dotto, però, ha ribattuto che l’anonimato del testimone non invalida la prova, soprattutto poiché la registrazione era stata spontaneamente consegnata alla polizia dallo stesso Soracco. La Corte, a questo punto, si è riservata di decidere sull’ammissibilità di entrambe le intercettazioni, che potrebbero rivelarsi determinanti per la ricostruzione della dinamica dell’omicidio e per l’individuazione dei responsabili.

l primi sospetti –  Anna Lucia Cecere, ex insegnante di 57 anni, è accusata di aver ucciso Nada Cella colpendola con oggetti contundenti, negli anni si è parlato di una pinzatrice e soprattutto di un fermacarta. Avrebbe potuto agire per motivi legati a un desiderio di sostituirsi alla vittima nello studio del commercialista Marco Soracco, oppure per qualche  corto circuito che avrebbe portato a un delitto d’impeto. Gli elementi contro di lei sono significativi: i bottoni trovati nella sua abitazione nel 1996, compatibili con quello sporco di sangue rinvenuto sulla scena del crimine, sotto il corpo di Nada. La comparazione dei bottoni e stata fatta solo fotograficamente ma li rivelò “non uguali”. Poi la testimonianza di un testimone che avrebbe visto una donna, presumibilmente Cecere, allontanarsi dallo studio di Soracco sporca di sangue e salire su uno scooter. Nel 1996, la figura di Cecere emerse tra i sospetti e nonostante un identikit (fotofit) che somigliava alla donna, il caso fu archiviato dopo pochi giorni senza ulteriori approfondimenti.La riapertura delle indagini nel 2021 ha portato a una revisione del suo passato, gli accertamenti sulla Cecere si sono concentrati sulla ricostruzione della sua vita all’epoca, il suo alibi, le sue condizioni matrimoniali e il suo allontanamento da Chiavari dopo l’accaduto.Ora, con questi nuovi sviluppi, il suo passato è sottoposto a un’attenta analisi per cercare di ricostruire il suo coinvolgimento nel delitto e comprendere le sue reali motivazioni.

Alibi e difesa – Anna Lucia Cecere ha sempre negato ogni coinvolgimento nell’omicidio di Nada Cella, sostenendo di avere un alibi solido: la mattina del delitto, infatti, afferma di essere già in viaggio verso Santa Margherita Ligure, dove lavorava come addetta alle pulizie. La principale linea difensiva dell’imputata si basa proprio su questa versione dei fatti, e i suoi avvocati, Gianni Roffo e Gabriella Martini, hanno annunciato che presenteranno il contratto di lavoro e i versamenti INPS come prove documentali per dimostrare la sua presenza lontano dalla scena del crimine. Tuttavia, il dentista per cui Cecere lavorava non è riuscito a confermare con precisione l’orario esatto in cui la donna iniziava il suo turno, lasciando aperti dei dubbi. La difesa insiste sul fatto che l’onere della prova della colpevolezza spetti all’accusa, ma l’incertezza sugli orari di lavoro e la possibilità che Cecere sia arrivata in ritardo senza che nessuno se ne accorgesse complicano ulteriormente la questione.

Soracco e Bacchioni sotto accusa – Oltre ad Anna Lucia Cecere, anche Marco Soracco e sua madre, Marisa Bacchioni, sono accusati di false dichiarazioni e favoreggiamento. La Procura sostiene che entrambi abbiano ostacolato le indagini con dichiarazioni reticenti e persino false, nel tentativo di proteggere Cecere e di nascondere elementi cruciali per la risoluzione del caso. La difesa ha chiesto che questi capi d’accusa vengano sospesi, ma il tribunale ha respinto la richiesta, confermando il prosieguo del processo. Marisa Bacchioni subito dopo il soccorso a Nada ha inquinato la scena del crimine, pulendo il sangue nelle scale del palazzo e nell’ingresso dello studio, come disse “per non spaventare i clienti”. Un altro elemento chiave che ha alimentato i sospetti riguarda un dialogo tra Bacchioni e una vicina di casa, che raccontò di aver visto qualcuno fuggire in motorino alle 9 del mattino, subito dopo l’aggressione a Nada Cella. Questo dettaglio, però, è stato omesso dalla madre del commercialista e da sua sorella nei numerosi interrogatori. In aggiunta, la possibile arma del delitto, un fermacarte o una pinzatrice, erano stati puliti dalla Bacchioni prima che gli investigatori potessero esaminarli, un altro atto che ha suscitato sospetti riguardo alla sua volontà di nascondere prove fondamentali. La sua giustificazione, che si trattava solo di “tre gocce di sangue” non ha convinto gli inquirenti, alimentando l’idea che la madre di Soracco fosse complice in un tentativo di occultamento delle prove. Oggi Marco Soracco era in aula per la prima udienza, ha dichiarato che sarà presente a tutte le udienze che lo riguardano. La chiave della loro innocenza risieda nell’innocenza di Anna Lucia Cecere stessa. In altre parole, se Cecere non fosse la responsabile, le accuse nei loro confronti potrebbero crollare, svelando una rete di omertà e protezione che, secondo la difesa, potrebbe essere stata mal interpretata.

L'attesa dei famliari - In aula era anche presenta la sorella di Nada, Daniella Cella. Dopo la prima udienza, ha dichiarato di non sapere quando e se la verità verrà finalmente a galla, ma ha espresso la speranza che il processo porti a una conclusione chiara: “Prima sembrava un’utopia arrivare anche solo al processo. Io spero che si arrivi alla fine per vedere come sono andati i fatti, anche se io già so come sono andati.” Ha anche sottolineato che, nel corso di questi anni, sono state dette molte bugie e che il processo svelerà le falsità raccontate da chi avrebbe dovuto dire la verità: “Lo vedrete durante il processo. Verranno fuori bugie da parte di tante persone, da chi avrebbe dovuto testimoniare la verità.” Concludendo, ha affermato con fermezza: “Il problema è che in questi anni sono state dette molte bugie. Purtroppo, in questa storia ho conosciuto sia persone che ci hanno aiutato, sia il lato peggiore dell’essere umano."

Udienze – Il processo proseguirà il 20 febbraio con nuove testimonianze. La Corte ha respinto tutte le questioni preliminari e non ha accolto l’eccezione di costituzionalità sollevata dalla difesa, confermando che il procedimento andrà avanti.

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