Ex Ilva una vicenda tormentata e senza fine
di Paolo Lingua
Domani assemblea e sciopero all’ex Ilva di Genova, ma si annunciano agitazioni anche nello stabilimento di Novi mentre a Tarando, il centro maggiore, la situazione è caotica. Il tormento della situazione della maggior industria siderurgica europea è cominciato lontano nel tempo, quando alla fine degli anni Ottanta, la Finsider, una delle finanziarie dell’Iri, la cedette a gruppo privato Riva. Nel frattempo Genova aveva perduto la leadership degli impianti (la direzione nazionale aveva poco meno di duemila addetti, mentre gli stabilimenti di Cornigliano e Campi nel contano quasi 12 mila con la creazione di posti esterni di quasi eguale valore). Nel corso degli anni si sono chiusi i centri di Piombino e Bagnoli e sono rimasti im piedi Genova con poco più di mille addetti e Novi Ligure poco più di 600. Taranta ha ancora circa 10 mila dipendenti. La vicenda del gruppo Riva, travolto anche dai problemi di inquinamento, è nota: processi, denuncie, rinunce. E poi la caccia da parte del governo a un acquirente privato. Sino a che, dopo un tattico andirivieni di piccoli siderurgici anche italiani, l’acquisto è stato effettuato dalla multinazionale Arcelor Mittal. Sembrava, a tutta prima, una scelta felice, poi però, già negli ultimi mesi dell’ultimo governo di centrosinistra sono cominciate le prima difficoltà che sono proseguite con il governo Conte I gialloverde e con il Conte II giallorosso. I problemi emersi sono infiniti: si è aperta una trattativa a tutti i livello con i sindacati sugli organici, perché Arcelor Mittal ha puntato a tagliare molto più di quanto non fosse invece stato affermato a momento al momento dell’acquisto. Poi sono emersi, in particolare per Taranto, tutti problemi relativi all’inquinamento della città e del territorio con la diffusione di malattie oncologiche tra la popolazione con molti decessi. Una realtà che a Taranto si trascinava da decenni in particolare per le emissioni delle lavorazioni a caldo (settori produttivi chiusi invece da molto tempo a Genova e a Novi Ligure). A questo proposito c’era stata la richiesta dei vertici di Arcelor Mittal di essere sollevati da eventuali responsabilità penali risalenti al passato. Il principio non è passato, ma poi si è tornati a discutere sui costi eventuali di interventi di bonifica e, come sempre di organici. La vicenda si è ingolfata, al punto tale che a un certo momento si è avuta la sensazione che il governo volesse liquidare l’acquisto di Arcelor Mittal e di puntare a un nuovo commissariamento dell’azienda. Un commissariamento per poi procedere a una possibile nuova vendita? Non è chiaro perché tutta la trattativa, di cui non è facile seguire i passaggi, si è confusa. Non si è capito se la multinazionale avesse sin dal momento dell’acquisto progettato un ridimensionamento molto forte dell’organico e che, al tempo stesso, fosse molto cauta sugli interventi – non trascurabili – di bonifica degli impianti. Il fatto , a questo punto, è un confuso stallo nel quale non è chiara la linea del governo (dove, come al solito, non c’è una linea coerente tra Pd e M5s, perchè questi ultimi, in passato, erano non lontani dalla volontà di chiudere l’azienda di Taranto per via dell’inquinamento aziendale), mentre Arcelor Mittal non ha ancora scoperto le sue carte. Il sindacato non ha altra scelta che una difesa a oltranza dei posti di lavoro e della produzione. Molto imbarazzo a Genova e a Navi, due stabilimenti che non hanno problemi di inquinamento ambientale e che sono storici caposaldi industriali, ma la cui attività dipende in pieno dalla produzione di Taranto. Il sistema siderurgico è collegato da una catena produttiva. E questo rende molto complessa e delicata la questione. Si va avanti con assemblee, scioperi e riunioni, ma non si vede la fine d’un viaggio tra i più tormentati della storia economica di questi anni.
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