Ex Ilva e gli errori del passato (e del presente)
di Paolo Lingua
La tensione nel mondo della siderurgia è molto alta, ma se ne capiscono le cause e le motivazioni. Oggi a Genova la manifestazione in piazza per lo sciopero dei dipendenti dell’acciaieria è stata molto t4esa: si sono conati contusi tra manifestanti e forze dell’ordine. La città è stata bloccata gettando il traffico nel caos (anche Amt è andata in confusione) e si è avvertita la forte tensione con gli incontri in prefettura e in comune. Al di là di qualche eccesso rispetto al quale anche i vertici dei sindacati hanno preso le distanze, la questione è emersa in tutta la sua drammaticità. Ormai appare chiaro che sia il governo, sia i vertici dell’azienda, all’interno della quale la parte pubblica (Invitalia) non ha ancora preso pieno possesso, non hanno le idee chiare, ma piuttosto nessuno vuole fare passi avanti per non trovarsi a investire cifre vistose per quel che riguarda un assestamento delle componenti produttive che provocano il pesante inquinamento alla città di Taranto che da anni paga un prezzo pesante e insostenibile in ermini di vite umane e di gravi malattie oncologiche.
La situazione è indubbiamene molto pesante e molto grave. E’ urgente ristrutturare i settori produttivi inquinanti, anche sulla chiave della recente pesante sentenza della magistratura di Taranto, ma non si può neppure bloccare la produzione della maggiore acciaieria italiana e una delle maggiori d’Europa). I dati del settore parlano chiaro: siamo alla vigilia d’una importante e delicatissima ripresa economica. L’acciaio è determinante per il settore automobilistico, per gli elettrodomestici per le confezioni alimentari e per le nuove tecnologie. E’ assurdo bloccarne la produzione alla vigilia d’una ripresa strategica, dopo quasi due anni di blocco dovuto alla pandemia.
Questo spiega l’atteggiamento molto duro e intransigente dei sindacati metalmeccanici e siderurgici di fronte alla decisione di accentuare, in tutti gli stabilimenti italiani (Taranto, Genova e Novi Ligure), la politica della cassa integrazione in proporzioni massicce, in particolare dopo che la magistratura ha dato il via libera alla ripresa produttiva del settore cosiddetto “a caldo” di Taranto. Ma non va dimenticato che dalla strategia produttiva di Taranto dipendono anche le attività specifiche di Genova e di Novi Ligure, due stabilimenti che non hanno mai dato vita a problemi di inquinamento del territorio e che potrebbero persino trovare margini di potenziamento. E’ indubbio che la ex Ilva, accanto a gravi errori ed eventuali colpe del passato, paga le incertezze, i rinvii e i ritardi degli ultimi governi e dell’ingresso – che si sta dimostrando un grave errore – da parte della multinazionale Arcelor Mittal, di cui non si è compresa la strategia né si sono interpretati i reali obiettivi a tutti i livelli.
Dopo i fatti di oggi appare più che evidente che occorre un cambio di passo. Non si può assolutamente giocare sui rinvii, sullo spostamento delle decisioni e sulla politica della cassa integrazione, cercando, in un clima di annaspo, di trovare la soluzione di tutti i problemi. La cassa integrazione non può convivere alla vig8ilia d’una ripresa produttiva, così come l’ipotesi di vistosi tagli occupazionali. Arcelor Mittal, anche se, ipoteticamente, aveva in mente un ridimensionamento dell’azienda italiana, non disporrà più a breve del controllo della maggioranza dell’azionariato. Quindi deve fare solo un gioco di rimessa rispetto a chi detiene il controllo del pacchetto. Considerato che non si esclude neppure una ipotesi di ritiro definitivo del gruppo franco-indiano. Ormai il governo italiano deve riprendere in mano la situazione e intervenire con energie, con una inesorabile prospettive di spese di investimenti che saranno coperti nel tempo dalla crescita del mercato dell’acciaio. La strada è segnata e non c’è scelta alternativa.
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