Europa in ritardo sul riciclo, cresce l’export di materiali secondari a basso valore
di Simone Galdi
Il mercato interno fatica a decollare, intanto aumentano le esportazioni extra-Ue di materie prime seconde con poco valore industriale

L’Unione Europea punta sull’economia circolare ma non riesce a valorizzare i materiali riciclati: cresce l’export a basso valore e il mercato interno resta frammentato. Il nuovo rapporto REF denuncia l’assenza di un mercato unico per le materie prime seconde, ostacolato da normative disomogenee, costi elevati e burocrazia.
Economia circolare – Il recente report del Laboratorio REF evidenzia come l’Unione Europea stia avanzando verso un’economia circolare, ma a un ritmo insufficiente rispetto agli obiettivi dichiarati. Le difficoltà principali sono legate a costi elevati di trattamento dei rifiuti, alla carenza di investimenti in impianti innovativi e a una burocrazia che, paradossalmente, rende più semplice lo smaltimento rispetto al riciclo. A questo si aggiungono norme divergenti tra gli Stati membri che regolano il cosiddetto “End of Waste”, ovvero il momento in cui un rifiuto cessa di esserlo.
Esportazioni crescenti – Nel 2023 il valore complessivo delle materie prime seconde (MPS) scambiate all’interno dell’UE ha raggiunto i 93,6 miliardi di euro. Tuttavia, i volumi sono aumentati solo del 4,5% rispetto al 2014. Di contro, nello stesso periodo, le esportazioni verso Paesi extra-Ue sono cresciute del 15,9% e del 74% se si guarda agli ultimi vent’anni. Il problema non è solo quantitativo: “Il valore medio dei materiali esportati è molto inferiore a quello delle importazioni”, si legge nel rapporto. Ciò indica una difficoltà strutturale dell’industria europea nel trasformare i rifiuti in prodotti di qualità.
Norme frammentate – Uno dei nodi principali è la frammentazione normativa. I criteri per stabilire quando un materiale cessa di essere rifiuto variano non solo da Stato a Stato, ma in alcuni casi anche da regione a regione. Questa disomogeneità rende complicata la circolazione delle MPS tra i Paesi membri, scoraggiando le imprese dal puntare su filiere europee di riciclo. La conseguenza è una dipendenza persistente dell’industria europea da risorse importate, comprese le materie prime critiche, nonostante queste siano talvolta disponibili proprio nei rifiuti già raccolti nel continente.
Iniziative europee – La Commissione Europea prova a reagire. Due documenti strategici – la Bussola della competitività e il Clean Industrial Deal – hanno rilanciato la necessità di costruire un mercato unico per i materiali riciclati. Il prossimo passo sarà l’adozione del Circular Economy Act, previsto entro la fine del 2026. Tra gli obiettivi dichiarati: armonizzare la normativa tra gli Stati membri, semplificare la gestione dei rifiuti elettronici, incentivare gli investimenti e migliorare la qualità dei materiali riciclati.
Ostacoli strutturali – Permangono però numerosi ostacoli. In primo luogo, l’assenza di standard europei condivisi per l’End of Waste. In secondo luogo, una rete burocratica che complica la circolazione dei materiali all’interno dell’Unione. Infine, la debolezza strutturale dell’industria del riciclo, penalizzata dai costi energetici elevati e da una concorrenza internazionale più aggressiva.
Strategia industriale – Il tema, secondo il report, è tanto ambientale quanto industriale. “L’Europa non può continuare a raccogliere rifiuti per poi spedirli all’estero”, si legge nel documento. Senza un’infrastruttura industriale in grado di valorizzare i propri materiali di scarto, la transizione circolare rischia di restare incompiuta. Il mercato unico delle MPS è, per REF, “l’anello mancante” per trasformare l’economia circolare in una strategia concreta e autonoma.
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