"Economiavirus", una Liguria in sofferenza anche economica
di Paolo Lingua
La “brutta figura” della presidente della Bce di ieri l’altro ha provocato un pesante tonfo di tutte le Borse europee (Milano indice più basso della storia) e non solo. Anche Trump, che da sempre a mostrato (ostentazione arrogante? Calcolo cinico? Superficialità?) una sorta di sottovalutazione del diffondersi del coronavirus, cominmcia a fare marcia indietro.
Con le sortite di altri vertici della banca europea, con le decisioni del governo francese e con le preoccupazioni della Merkel, oltre che con le “bacchettate” di Mattarella, sempre più autorevole e in crescita di prestigio personale, c’è stata un po’ di ripresa e una attenuazione delle pesanti perdite, che sono ricadute sui Titoli di Stato e su certi aspetti della finanza. Però, al di là degli aspetti che riguardano i movimenti dei capitali (non va dimenticato da un paio di decenni i movimenti delle Borse internazionali vanno valutati con estrema prudenza perché non sempre l’azione in sé corrisponde a una condizione positiva o negativa dell’impresa a cui fa riferimento: basterebbe ricordare il crollo di New York di non troppi anni fa) i problemi dell’economia, provocati dal coronavirus, sono assai gravi.
Ogni giorni assistiamo a chiusure o fermi temporanei di imprese di ogni genere, a crolli di settori di mercati e alla crescita di dipendenti i cassa integrazione o più direttamente alla vigilia della perdita del posto di lavoro. Stanno soffrendo, come è evidente, i cosiddetti “piccoli” del commercio, dell’artigianato ma anche dell’agricoltura (perché di fermano gli acquisti e le esportazioni delle eccellenze alimentari). La chiusura, sia pure a termine, di piccoli centri commerciali, nonché di bar e ristoranti, mette a rischio molti posti di lavoro. Ma adesso incombono chiusure di aziende non organizzate per la sicurezza sanitaria e blocchi di interi segmenti di mercato internazionale.
La Liguria è tra le regioni italiane che sta maggiormente soffrendo. La prima mazzata è venuta (con le complicazioni epidemiologiche) dal crollo del turismo invernale sia da parte della clientela italiana, sia da parte di quella straniera. Ora assistiamo al blocco crocieristico anche perché le nostra unità non sono accolte più nei porti stranieri e nessuno, per il momento, punta più sull’Italia. Ci sono città d’arte per eccellenza come Roma, Firenze e Venezia deserte, ma anche Genova, che pure dalle cosiddette “colombiane” e poi dalle altre manifestazioni internazionali dei primi anni Duemila era stata “riscoperta”, è stata abbandonata. Inoltre abbiamo blocchi in porto, scioperi dei portuali, chiusura della cantieristica che pure era una scommessa sino a poco tempo fa ritenuta “vincente”.
Di fronte a questa pesante radiografia di una crisi economica che si è sovrapposta a uno Stato con un enorme debito pubblico che si trascina da decenni, al di là dei progetti europei e governativi di interventi sociali di sostegno, non c’è da essere per ora troppo ottimisti, perché c i sono i presupposti d’una crescita del diffondersi delle infezioni ancora, come minimo, per i prossimi quindici giorni. Anche la Liguria, che pure è stata una delle regioni meno colpite dalla pandemia, attende a denti stretti la possibile ondata di nuove infezioni. E’ questo, in tutti gli aspetti possibili, il momento più delicato. Non resta che tenere duro. Passata l’ondata di piena ci sarà certamente la ripresa, ma non bisogna illudersi: sarà una risalita dura e faticosa. Anche se, con fantasia e creatività, ce la faremo.
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