E se l'uomo giusto per il futuro dell'Italia fosse quello di Mario Draghi?
di Paolo Lingua
Qualche giorno fa, in coincidenza con l’infelice sortita della presidente della Bce Christine Lagarde sulla questione dello spread, molti commentatori hanno ricordato come fu, invece, efficace l’intervento del suo predecessore Mario Draghi, alcuni anni prima, al momento della prima grande crisi internazionale. Che Draghi sia rimpianto non è un mistero per nessuno, considerato che con la sua energia e con la sua autorevolezza (ma soprattutto con i risultati sempre positivi del suo operato), ha mantenuto in particolare in Europa, ma con l’occhio sempre attento al mercato internazionale, a contenere gli equilibri e a bloccare le crisi.
Non sempre Draghi è stato popolare in Germania, il Paese più ricco e potente dell’Ue, tanto è vero che non gli sono mancate critiche da parte dei ministri tedeschi più conservatori, ma, per la verità, non da parte di Angela Merkel, più equilibrata e attenta. Draghi ha sempre cercato di riequilibrare quello che in Europa, sin dalla sua nascita e dal decollo sproporzionato dell’euro, non era equilibrato. E la sua azione non ha mai danneggiato nessuno. Anzi ha consentito a tutti di svolgere un’azione economica più consona alle diverse situazioni, capendo che l’eccesso di leadership di Paesi come la Germania alla lunga si sarebbe riflettuto contro i suoi interessi, mettendo in difficoltà i Paesi meno forti, oppure dinamici, come l’ Italia, però condizionata da un forte debito pubblico.
Anche prima che esplodesse il dramma della diffusione del coronavirus, all’indomani della sua uscita dalla Bce non erano mancati richiami, sia pure generici, per collocare Mario Draghi in un ruolo pubblico di prestigio. Oggi, di fronte alla fragilità della politica, si sente la necessità d’una personalità professionale e intellettuale come Draghi in un ruolo di vertice, se non addirittura di timoniere delle strategie del Paese e come guida economica. In un momento di così grave crisi, può sembrare gratuito criticare la politica del governo e delle regioni, ma purtroppo non è un esercizio da salotto. Siamo vissuti in un clima di titubanze e di incertezze, di “stop and go”, di discussioni come sempre tese a dare un colpo al cerchio e gialloverdi, giallorossi, ecc.) una alla botte.
Ancora adesso procediamo a spanne, modificando la chiusure di scuole, uffici, imprese, comunicazioni nazionali e internazionali di settimana in settimana, con provvedimenti economici che spostano quasi a intervelli di giorni mutui, rate, tasse, interessi e così via. Nel frattempo – sia pure collegati a un contesto internazionale certamente critico – la nostra economia si è fermata e il sistema finanziario ci è crollato addosso, in Italia più che altrove, anche per via delle nostre debolezze precedenti alle quali i fragili governi (non importa se gialloverdi o giallorossi) non erano riusciti a trovare alcun rimedio. Ora i problemi fondamentali sono due. Il primo, è ovvio, è come far fronte alla situazione attuale, considerato che la crescita della diffusione del contagio potrebbe crescere ancora nelle prossime tre settimane prima di arrivare al cosiddetto “picco”. Il secondo è pensare al “dopo”, un “dopo” che è però dietro l’angolo.
E’ la ripresa che deve scattare nel momento in cui il coronavirus si esaurirà, come pare stia accadendo in Cina. Ma non si potrà affidarsi alla buona sorta e a una ricrescita a caso e a sbalzi. Occorre una regìa tenuta con mano salda e un regista che sia autorevole a livello internazionale. Di Mario Draghi, per mille motivi, abbiamo bisogno, ma dobbiamo riflettere che non può essere un dittatore sudamericano o uno sceicco. Ma non può essere neppure una sorta di commissario. Draghi non è Bertolaso ed è una personalità che accetta responsabilità solo in un contesto di grande serietà, dove ognuno sappia fare la sua parte con rigore e competenza. Occorre riflettere il “che” e il “come”, senza il dilettantismo mediatico (ormai controproducente) che ci accompagna in un Paese dove ogni giorno si vara un decreto che cambia, modifica, pasticcia, complica e così via. Ricordiamoci che per coprire una drammatica responsabilità da cui dipenderà il nostro futuro un uomo come Mario Draghi non ha bisogno della “piattaforma Rousseau”.
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