Dialogo esclusivo con la criminologa che ha riaperto il caso di Nada Cella: 28 anni di silenzi spezzati
di Emilie Lara Mougenot
Dal 2018 al 2021, una criminologa ha ricostruito prove dimenticate e riaperto l’indagine sull’omicidio di Nadia Di Nada.
Nel 1996 l’omicidio di Nada Cella sembrava destinato a restare senza colpevoli. Ma la dottoressa Antonella Delfino Pesce, criminologa, con un lavoro paziente e innovativo, analizzando indizi trascurati è riuscita, nel 2021, a portare alla riapertura del caso.
L’inizio – Il caso è stato riscoperto nel 2018, durante il suo master in criminologia, ha studiato fascicoli e verbali. “All’inizio non pensavo di arrivare a nulla”, racconta la criminologa. Tuttavia, la lettura attenta e il confronto con i protagonisti dell’epoca hanno fatto emergere piste significative.
Indizo chiave – E' stata la lettura del verbale sul bottone ritrovato sotto il corpo della vittima a riacendere la speranza: “È stata l’ultima chiave per aprire la porta”, spiega Delfino Pesce. Questo elemento, trascurato all'epoca e analizzato solo fotograficamente, è stato integrato con nuove perizie e testimonianze, sufficienti per riaprire il fascicolo nel 2021.
Il metodo – L’esperta sottolinea l’importanza delle indagini tradizionali, accanto alle tecnologie forensi: “Il DNA è il cappello di un’indagine, ma ciò che conta è ricostruire il contesto”. Le ricostrituzioni e l’analisi dei dettagli hanno permesso di delineare il profilo di una possibile colpevole portando così ad Anna Lucia Cecere.
Relazione con la famiglia – Centrale nel lavoro della criminologa è stato il legame con Silvana, madre di Nada. “È stato un percorso di speranza e resilienza, fatto insieme, passo dopo passo”, afferma Antonella.
La dedizione della criminologa e l’uso combinato di tecniche moderne e tradizionali hanno restituito speranza a un caso che sembrava irrisolvibile. A febbraio il processo, con una famiglia che attende giustizia.
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