Coronavirus, un unico caso in Liguria estraneo al territorio

di Paolo Lingua

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Coronavirus, un unico caso in Liguria estraneo al territorio

E’ indubbio che chi dispone d’una seconda casa, oppure per età è in pensione o mediamente benestante, è calato dalla Lombardia e dalle regioni colpite da alcuni casi di coronavirus in Liguria. Alcuni sono passati per via treno ma la maggior parte è calata dall’Appennino in macchina. E in questo caso è assai difficile fare controlli diretti.

E’ la morale che si ricava dall’unico caso di infezione rilevato in Liguria, una signora di 72 anni di Castiglione d’Adda risultata positiva in un albergo di  Alassio, ora severamente monitorato. La donna sta abbastanza bene ed è ricoverata sotto tutti i controlli possibili all’ospedale di San Martino di Genova. A questo punto si deve convenire che, salvo sorprese dell’ultima ora, in Liguria non sussistono sino a questo momento focolai di infezione. La regione ha accentuato il sistema di controlli e di divieti: scuole chiuse, blocco di manifestazioni culturali, sportive e anche di lavoro, disinfezioni sui mezzi pubblici e controlli a tappato sui movimenti delle regioni vicine, in particolare Lombardia, Veneto, Piemonte, Emilia e Friuli.

Nel complesso, resta in migliori condizioni la situazione del centrosud della nostra penisola, anche se, come avviene quasi sempre in Italia, ogni regione e ogni comune sembrano prendere provvedimenti e decisioni autonome , con un po’ di confusione da parte degli organi del governo. Ma non c’è da stupirsi conoscendo l’Italia.

La domanda immediata che sorge sulle labbra di tutti è però quella che riguarda il futuro: per quanto si dovrà andare avanti con un sistema di blocco, prevenzioni e controlli, mentre si cominciano ad avvertire i primi scricchiolii di una crisi economica? Si parla già di cassa integrazione per molti settori e di interventi provvisori di lavoro a casa (ma tutti sono in questa condizioni? Sino a quando sarà possibile resistere?) Tra l’altro sta emergendo una complessa valutazione della realtà e degli effetti dell’infezione del coronavirus, ritenuto mortale solo nello 0,8% dei casi e in particolare per persone molto anziane o affette da altre gravi malattie.

Sta emergendo, anche a livello dei vertici sanitari, un dibattito – a volte strisciante a volte palese – tra chi punta a una controllata e severa normalizzazione e chi invece invoca il massimo rigore. E’ un atteggiamento, che sia pure in maniera differente e più emotiva, sta coinvolgendo la popolazione, come dimostrano le autentica “cacce” alle mascherine e ai disinfettanti nelle farmacie così come la corsa, in Liguria per la verità piuttosto contenuta, a spese alimentari di massa per portare a casa cibo a lunga conservazione, nel timore di blocchi della vita normale. La prospettiva della autosegregazione in casa non alletta nessuno e in particolare quella parte della popolazione più consapevole e razione, poco incline a farsi prendere dal raptus del terrore diffuso.

Il problema è legato alla natura del coronavirus, un sorta di epidemia da cui per ora è difficile difendersi e che ha colto di sorpresa la nostra società dopo le migliaia di morti in Cina. Purtroppo, sia pure aumentando tutte le cautele tutti i controlli, non resta che attendere l’evoluzione degli eventi. L’infezione è una novità ed è anomale per cui non è facile prevedere quando si avrà il picco e poi la discesa delle infezioni, visto che per il momento gli ammalati sono stati curati con sistemi tradizionali e solo parzialmente sperimentali, come nel caso dello Spallanzani di Roma, che è il centro scientifico e terapeutico più avanzato. Ci sono per il momento nell’aria troppe domande senza risposta. E questo che allontana il tanto sognato da tutti ritorno alla normalità della vita.