Una politica fragile “salvata” dalla pandemia?
di Paolo Lingua
E’ molto probabile (ma non bisogna mai dire l’ultima parola) che alla fine a livello governativo e parlamentare ci si metta una pezza sui “buchi” che ogni giorno nascono o si allargano nella maggioranza. I rimedi – provvisori – hanno due nomi: il primo è il coronavirus che rende tutto il resto della vita pubblica assai precario; il secondo è il terrore di andare alle elezioni da parte dello schieramento di centrosinistra. Infatti, pur tra molte contraddizioni, il centrodestra alle urne per il rinnovo del parlamento finirebbe per avere il sopravvento. Mentre il centrosinistra vedrebbe scomparire i piccoli partiti (lista Bonino e schieramenti dell’estrema sinistra), con un fortissimo ridimensionamento numero e percentuale di Italia Viva e del M5s. Quest’ultimo poi pagherebbe, come autolesione, il taglio dei parlamentari, voluto a tutti i costi per una impuntatura di carattere vagamente moralistico.
I temi in campo sono: la riforma europea del Mes come “salva-stati”, i contenuti del Recovery Fund e il Mes per la sanità (i famosi 37 miliardi da restituire con interessi molto bassi). Sul progetto “salva-stati” sono d’accordo tutti i partiti della maggioranza mentre il M5s è travagliato da una guerra interna che potrebbe far emergere dissidenti e quindi mettere a rischio il voto in parlamento, anche perché è annunciato, inattesa ma ormai confermato, il voto contrario di Forza Italia. Ci sono forti dubbi sulle scelte strategica per il Recovery Fund perché potrebbero emergere richieste specifiche e localistiche di regioni e comuni, non tutte di natura strategica ma legate appunto a esigenze assai vicine all’ordinaria amministrazione. Sempre sul Recovery non tutto è chiaro. Si parla di “digitalizzazione”, di “green economy” e di grandi opere di servizio. Ma i progetti precisi non sono indicati. Si naviga sempre nel generico non si sa se è a causa di idee poco chiare, oppure perché i vertici del governo temono il risorgere di nuovi contrasti in particolare tra Pd e “grillini”, anche se il renziani poi fanno la loro parte quando è il momento. Non solo: entro una decina di giorni si dovrebbe ridiscutere il Recovery a livello europeo, ma non è ancora chiaro se Ungheria e Polonia insisteranno sul loro “no” di principio. E’ una situazione grave, anche se c’è già qualche esponente politico che ha suggerito la possibile “espulsione” dei due stati dall’Ue se la situazione dovesse incancrenirsi. E’ un esito di fatto impossibile sul piano concreto, ma la discussione rischia di diventare uno scontro politico molto pesante.
C’è infine la “coda” onnipresente del Mes (sanità) che è di costante ritorno e che conferma il favore di Pd e di Italia Viva (ma anche dell’estrema sinistra) e il “no” irremovibile del M5s. All’interno del quale emergono le posizioni differenti di Di Maio, Crimi, Fico, Di Battista e di gruppetti di parlamentari ribelli. Ma c’è chi chiede il voto degli iscritti sulla piattaforma Rousseau che, pure, una forte rappresentanza del movimento vorrebbe abolire. C’è stata poi, giorni fa, la sortita tutta negativa di Beppe Grillo, poi tornato al silenzio. La sensazione che si avverte riguarda il Pd. Sino a oggi, a cominciare da Zingaretti, si è sempre puntato a smussare gli angoli e a trovare la quadra d’un accordo. Il Pd sembrava disposto anche a cedere a sgraditi compromessi pur di salvare l’alleanza e a evitare le elezioni. Oggi però la posizione del Pd appare più irritata, anche perché emergono le differenze di fondo, che in realtà ci sono sempre state, tra i due partiti. Vale a dire strategie di sviluppo e di gestione che hanno motivazioni, persino ideologiche, di natura molto diversa per non dire completamente opposta. In questo contesto si è fatta più fragile anche la posizione del premier Conte al quale tocca, per forza di cose, una difficile mediazione in un momento assai delicato. Conte punta a contenere la diffusione del coronavirus con una politica severe e di contenimento della cittadinanza, in particolare in occasione delle prossime feste. Questa politica, secondo il presidente del consiglio, consentirebbe un decollo più agevole della somministrazione dei vaccini. Il che vuol dire superare i contrasti politici per almeno un altro anno, anche perché un ritorno alla “normalità” di prima della pandemia riporterebbe al centro del dibattito le profonde differenze tra i partiti, senza più freni. In questi pochi giorni si gioca dunque tutto. Sono probabili accordi faticosi in extremis. Si tratta di capire chi sarà a pagare il prezzo più alto.
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