Tutti i misteri della Carige a 7 giorni dall'assemblea
di Fabio Canessa
Il Punto di Paolo Lingua
Il 20 settembre, anniversario della presa di Porta Pia, si svolgerà l’assemblea degli azionisti della Banca Carige. La vicenda, anche se quasi tutti i giorni rullano, più o meno stonati, tamburi mediatici, è ancora avvolta nel più fitto mistero, anche per il silenzio tombale, a sipario calato, da parte del gruppo Malacalza che, com’è noto, controlla oltre il 27%.
In sintesi, per semplificare esiste una proposta di aumento di capitale sostenuta dalla Cassa Centrale Banca (sistema di credito cooperativo con sede nel Trentino) con un aumento sui 900 milioni. Se questa proposta andasse in porto tutti gli azionisti scenderebbero nelle loro quote, a cominciare dal grippo Malacalza che potrebbe scivolare attorno a 4%.
Se i Malacalza non si presenteranno in assemblea, occorrerà mettere insieme almeno il 20% dei titolari di azioni. In questo senso i tre commissari Pietro Modiano, Fabio Innocenzi e Raffaele Lener) che da molti mesi gestiscono la banca, dopo aver promesso crescita “regalata” di quote ai piccoli azionisti stanno forzando, con una azione a rullo di tamburi, le presenze dei piccoli azionisti nella giornata del 20 settembre.
Si sa, sia pure ufficiosamente, che alcuni azionisti d’un certo peso da Gabriele Volpi (9%), Raffaele Mincione (5,4%) e Aldo Spinelli (1%) sarebbero favorevole al progetto di aumento. Anche se nessuno lo dice esplicitamente, appare evidente che esiste, da tempo, un contrasto di strategie tra i commissari e il gruppo Malacalza che, come tutti ricordano, alla vigilia di Natale dell’anno scorso, bloccò il piano precedente, fermando l’aumento di capitale allora presentato.
Non è la prima volta che l’azionista di riferimento si scontra con i vertici esecutivi della Carige (tutti nominati da Malacalza, peraltro), ma l’intera vicenda appare comunque sempre più complicata.
Nei giorni scorsi è emerso un documento, mai reso ufficiale, del Comune di Genova nel quale si esprimono forti dubbi e forti critiche al progetto di salvataggio della CCB. Il documento, firmato dall’ex assessore Giancarlo Vinacci, esperto di problemi imprenditoriali e finanziari, che adombra di fatto il rischio d’una acquisizione e di gestione di fatto della banca Carige, se dovesse essere approvato. Vinacci esprime dubbi sulla possibilità e capacità di gestione. Ma c’è un problema tecnico ancora di maggiori dimensioni che incombe sull’esito dell’assemblea.
I calcoli basati sul richiamo a squilli di tromba dei piccoli azionisti a presenziare per alzare la percentuale delle presenze sì da rendere valido l’esito del voto, si basano sulla presunta “non presenza” dal gruppo Malacalza. Ma se l’azionista maggiore fosse presente con il suo 27% la percentuale si rialzerebbe vistosamente. La percentuale perché passi il “si” è dei due terzi dei votanti.
Ma con la quota dei Malacalza si dovrebbe andare su una percentuale attorno al 70% di assensi, un obiettivo non facile soprattutto se da parte dei Malacalza si decidesse per l’astensione come nell’ultima assemblea. Il quadro a questo punto, nel mutismo serrato dei Malacalza, si fa assai più complesso e inquietante.
C’è il rischio d’una assemblea a vuoto e di un ulteriore rinvio, magari con possibili trattative per trovare una mediazione? E’ chiaro che i Malacalza, che hanno investito nelle banca altri 400 milioni tendono a salvare la loro quota di capitale e sono riluttanti a versare nelle casse asmatiche della Carige altre decine di milioni per mantenere la loro quota azionaria.
Al tempo stesso i commissari fremono e puntano a chiudere una situazione critica che forse hanno trovato peggiore di ogni previsione. Inoltre sulla vicenda possono incombere azioni giudiziarie, richieste di danni eccetera. Giorni di grande tensione e di forti preoccupazioni che vanno oltre alle invocazioni generiche alla salvezza da parte di realtà che della banca sanno poco come le istituzioni politiche (non siamo più ai tempi di Paolo Emilio Taviani), i sindacati o persino certi ambienti ecclesiastici genericamente “buonisti”. Nei caveau non regge il principio del “volemose bene”.
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