Tutti i dubbi sulla maggioranza di governo: accordi politici e dubbi sull'economia

di Paolo Lingua

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Tutti i dubbi sulla maggioranza di governo: accordi politici e dubbi sull'economia

Il serafico segretario del Pd, Nicola Zingaretti, che assomiglia sempre di più al personaggio di Voltaire che ripeteva tutto il giorno che “questo è il migliore dei mondi possibili”, ha annunciato che se si dovesse andare alla crisi di governo e quindi alle elezioni punterebbe sull’attuale premier Giuseppe Conte che sarebbe in grado di battere sia Luigi di Maio, sia Matteo Salvini. Conte sembra pronto a traslocare da una casa all’altra, mentre Di Maio ha forse un po’ di nostalgia di Salvini, perché teme che possa nascere all’interno del M5s un’ala sinistra con Fico, Di Battista e magari il “fondatore” Beppe Grillo? La politica italiana sembra sempre di più ingarbugliata e confusa, ma il Pd, che per certi aspetti appare una sorta di chiave di volta del sistema, si contorce nelle contraddizioni come, con la abituale lucidità, metteva in luce nei giorni scorsi l’ex ministro Calenda che da partito ha preso le distanze. Il Pd, dice Calenda, era contrario al taglio dei parlamentari ma poi l’ha votato così come ha votato il reddito di cittadinanza e la “quota 100”. E adesso accetta il provvedimento moralistico dei grillini sul minimo dei contanti (era 3000 euro e scenderà a mille, un taglio eccessivo che non colpisce i veri evasori fiscali) e forse l’eccesivo aumento del carcere per chi evade. La stessa legge economica, ancora da mettere a punto in attesa del giudizio dell’UE,  ha salvato l’aumento dell’I va, molto temuto da tutti, ma ha allargato  e fatto crescere tasse altrove, senza trovare il colpo di  reni che punti alla vera ricrescita economica, come le categorie imprenditoriali (ma anche i sindacati) auspicavano. Siamo nel “taglia e cuci” e nel pasticcio all’italiana. Inoltre non si sa ancora quali novità emergeranno, considerato che anche la ripresa delle grandi opere, soprattutto quelle infrastrutturali, sono oggetto di discussioni e di dichiarazioni velleitarie ma non si intravvede la possibilità concreta di decolli. Ancora una volta la burocrazia scarica su queste procedure leggi, leggine e regolamenti che sono sostanzialmente intrecci frenanti. Nulla a che fare con la legalità con la maiuscola. Il Pd inoltre è incalzato dal rischio di colpi di mano che vengano da Matteo Renzi non completamente soddisfatto dalla piega che sta prendendo la politica attuale. Renzi apre la Leopolda ma, ad avviso degli osservatori più scafati, punterà alla crisi e alle elezioni solo quando sarà sicuro di ottenere un certo consenso che per ora, sia pure con tutta la prudenza con la quale occorre valutare i sondaggi, non sembra varcare la soglia del 4%. Molto dipenderà dagli siti delle prime elezioni regionali: Umbria, Emilia-Romagna, Calabria. E poi le altre della prossima primavera, Liguria compresa. Non ci saranno liste renziane: quindi è l’asse Pd-M5s che sarà messo alla prova. Ribaltando il discorso al centrodestra che annuncia la manifestazione unitaria di Roma (con la poco utile presenza di Casa Pound e altri movimenti neofascisti, come è stato detto da una parte dei berlusconiani) e una opposizione a 360 gradi. Ma anche nel centrodestra non tutto è tranquillo, anche perché, pur recuperato in vista delle regionali, il movimento di Giovanni Toti, “Cambiamo!”, resta al centro di polemiche che hanno un lieve respiro nazionale, ma un soffio più greve in Liguria dove, dopo la sua sostituzione a coordinatore regionali di Sandro Biasotti con Giorgio Mulè, una sorta di commissariamento,  lo stesso Biasotti è uscito da Forza Italia con tono polemico. Andrà con Toti, seguendo Lilli Lauro? E’ più che possibile. Ma il centrodestra, in tutte le sue componenti, per mantenere il governo della Liguria e per cercare la conquista di altre regioni non ha altra scelta che restare compatto. I suoi leaders dovranno mordersi le labbra. Resta un panorama confuso della politica italiana, tutta in netta decadenza qualitativa.