Tutti gli interrogativi sul futuro della Carige
di Paolo Lingua
3 min, 13 sec
Il Punto di Paolo Lingua
Il piano industriale è certamente un passo avanti per cercare di risolvere la difficile e intricata vicenda della banca Carige, ma è, per ora, il progetto d’un percorso che però presenta non pochi interrogativi. Non tanto per la proposta in sé, certamente seria, professionale e ponderata, quanto piuttosto perché non si conoscono ancora le possibili “risposte” di molti interlocutori – esterni e interni – i cui interventi saranno di fatto determinanti.
In sintesi, come ormai tutti i media riportano, i tre commissari straordinari Pietro Modiano, Raffaele Lener e Fabio Innocenzi hanno annunciato che occorre un aumento di capitale di 630 milioni (rispetto ai 400 proposti nel dicembre scorso), il prepensionamento di circa mille su quattromila dipendenti, digitalizzazione dei servizi, tagli delle spese, cessione di gran parte dei crediti deteriorati e una razionalizzazione delle offerte di investimento della clientela dei risparmiatori e degli investitori per circostanziare le operazioni a favore degli stessi.
L’obiettivo è di raggiungere il pareggio di bilancio perché ci sono gli estremi per farlo entro il 2020. L’obiettivo è quindi di puntare a razionalizzare, a ripulire dai debiti e a rendere funzionale sul territorio la Carige tenendo sempre presenti le possibili offerte di aggregazione, sulle quali però viene tenuto il massimo riserbo. Secondo Fabio Innocenzi che ha spiegato in dettaglio tutte le possibili operazioni la banca non deve più assomigliare a una grande città galleggiante tipo le navi da crociera, bensì a un agile motoscafo, pratico e maneggevole. Tutti e tre i commissari, che saranno confermati ancora per un trimestre o anche per due, la statalizzazione della banca è l’ultimo passaggio in extremis ma che si farà di tutto per evitare una simile conclusione.
E adesso? A questo punto le prossime mosse toccano a tutti coloro che dall’esterno ritengono apprezzabile il piano industriale, realizzato sotto il controllo della Bce, ma soprattutto agli azionisti della Carige, grandi e piccoli, come ha detto Modiano, ma in particolare i riflettori sono concentrati sul gruppo Malacalza Investimenti che controlla oltre il 27% del pacchetto azionario dell’istituto genovese.
All’assemblea degli azionisti del 22 dicembre, il gruppo Malacalza si astenne dall’approvare l’aumento di capitale di 400 milioni, di cui avrebbe dovuto versarne 120. Ora, con l’aumento di capitali aumentato, la quota dei Malacalza potrebbe salire a oltre 180 milioni. Ma il 22 dicembre la spiegazione del voto sospeso era appunto la mancanza d’un piano industriale.
S’è capito che c’è stato in queste settimane un dialogo tra i commissari e l’azionista di riferimento, ma ora bisognerà capire quali saranno i giudizi e i distinguo, anche perché entro pochi mesi ci sarà una nuova assemblea degli azionisti per arrivare a una decisione strategica e operativa. Nella conferenza stampa di oggi i protagonisti so no stati molto prudenti sulla strategia di possibili aggregazioni da parte di istituti bancari di maggiori dimensioni, pur non escludendola come conclusione della vicenda.
Si è puntato molto alla “pulizia” e alla razionalizzazione della banca per portarla verso la parità e l’utile, se possibile. La banca, è stato detto, nonostante le voci passive, è forte e solida e ce la può fare. Ma quale potrà essere l’obiettivo finale dei Malacalza se accetteranno di tornare in gioco mantenendo il loro ruolo di azionisti di riferimento? Pensano ancora alla banca “piccola e autonoma” sul territorio ligure oppure puntano a arrivare a una aggregazione con un partner di loro gradimento?
Ma è indubbio che potranno emergere altre possibili soluzioni, mentre dovrebbe procedere il piano industriale di risanamento. Potranno essere aperte, se ci saranno i presupposti, azioni legali di risarcimento nei confronti della precedente dirigenza? I commissari hanno un mandato preciso e verificheranno tutte le ipotesi, anche se non c’è troppo entusiasmo, visti i precedenti poco fortunati. Non è facile individuare precise responsabilità ed è ancora meno facile ottenere poi le cifre – di grandi dimensioni – presunte in caso di riconosciuta responsabilità. La banca dovrà trovare le risorse necessarie con le sue forze e di chi vorrà credere in lei.
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