Tutte le incognite delle primarie del Pd
di Paolo Lingua
Il Punto di Paolo Lingua
Non è facile anticipare previsioni sull’esito delle 'primarie' per la nuova segreteria del Pd a due giorni dal voto nei gazebo. Intanto ci sono troppe incognite sulla partecipazione: elettorato rassegnato e passivo, oppure solleticato dal desiderio di “rispondere” ai partiti di Governo e in particolare ai “grillini” che svolgono le loro consultazioni di base via e mail in circostanze mai del tutto chiare.
Punta il Pd e con il partito le alleanze dell’area di centrosinistra a dar vita a una opposizione organica al centrodestra nelle amministrazioni locali e all’asse giallo-verde a livello nazionale? A parole sì, ma non sempre c’è il riscontro nei fatti. Sinora il Pd si è “contemplato l’ombelico” piangendosi addosso per le sconfitte clamorose cominciate con il referendum costituzionale e poi proseguite con il disastro del 4 marzo dell’anno scorso.
Ora, con lentezza, i tre candidati alla segreteria – Zingaretti, Martina, Giachetti – si affronteranno domenica. Ci sarà uno dei tre in grado di passare lo scoglie del 50%? Il più vicino secondo i pronostici e i risultati sinora raccolti sembrerebbe Zingaretti, con Martina distaccato di poco. Molto lontano Giachetti.
Tutti i commentatori indugiano in questi giorni a porsi sulle domande sul “grande assente” eppure alitante sulla corsa, ovvero Matteo Renzi. Giachetti s’è dichiarato molto vicino a lui, vicino in termini più generalisti Martina, in netto contrasto invece Zingaretti che, forse, vorrebbe tentare il recupero di quella quota di partito che è uscita polemicamente e che è stata guidata da Bersani e da D’Alema, anche se Leu non ha raggiunto grossi successi elettorali sinora, tagliando comunque il partito dall’eredità di Renzi.
Una situazione complessa, indipendentemente dai numero dei votanti e dal risultato in sé. Il Pd resta un partito con il fiato grosso, anche se il netto calo di consensi del M5s, indirettamente gli ha ridato fiato. E tutti però continuano ma chiedersi che cosa farà Renzi, anche se l’ex presidente del consiglio continua a ripetere con non intende fondare un nuovo partito.
Un altro punto interrogativo riguarda Calenda. L’ex ministro sembra però disinteressato alle “primarie” e semmai più proteso a dar vita a una coalizione che cerchi un successo alle elezioni europee, in antitesi con la Lega e con il M5s. E in Liguria, regione dove, pezzo a pezzo, a partire dalla Regione, il Pd ha perduto quasi tutte le amministrazioni locali dopo decenni di supremazia quasi intoccabile?
Sulle posizione ideologiche “renziane” ma poi decisi a votare per Martina ci sono a Genova il consigliere regionale Rossetti, la capogruppo a Tursi Cristina Lodi, il segretario regionale Vito Vattuone, la deputata Raffaella Paita, l’ex presidente del porto di Genova Luigi Merlo. Con Zingaretti si sono schierati l’ex ministro della difesa Roberta Pinotti e l’ex ministro Orlando, spezzino, il consigliere comunale Alberto Pandolfo.
Ma in Liguria non c’è una vera leadership, ma tanti gruppetti sparsi per le quattro province, tutti reduci da sconfitte elettorale piccole e grandi, schiacciati da una quasi totalità di giunte di centrodestra. In nessun caso, salvo colpi di scena, non sembra che si siano spazi politici, sinora, di rovesciare la tendenza elettorale dei liguri e di tornare al potere.
Uscito di scena da quattro anni Claudio Burlando, l’ultimo vero leader territoriale della sinistra, il partito è privo d’una vera leadership locale e ci vorranno, forse, degli anni prima di poter identificare un capo carismatico. Tutto questo è lo scenario che si prospetta alla vigilia del voto. Si toccherà la fatidica e invocata quota di un milione di votanti in Italia, tanto invocata in questi giorni? Difficile a dirsi. Se però sarà, significherà che c’è stato un ritorno di consenso in netta alternativa non solo al Governo ma in modo particolare nei confronti dei “grillini”. Sarà allora un altro mondo, ma è probabile che sia ancora presto per formulare previsioni rivoluzionarie.
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