Roberto D'Alessandro, il salvatore del Porto di Genova

di Paolo Lingua

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Roberto D'Alessandro, il salvatore del Porto di Genova

E’ stato, in tutte le esperienze che lo hanno coinvolto, sempre un leader: intelligente, spregiudicato (nel senso migliore del termine), intuitivo, rivolto sempre all’avvenire. Alla vigilia di compiere 85 anni, se n’è andato anella “sua” Portofino, Roberto D’Alessandro, una lunga carriera di manager, due volte sindaco di Portofino, Presidente e – diciamo tutta la verità - autentico “salvatore” e resuscitatore del Porto di Genova che era sulla strada della crisi irreversibile quando Bettino Craxi, allora presidente del Consiglio, glielo affidò.

Ancora oggi il modello di sviluppo dei porti italiani è legato alle sue intuizioni e all’impronta che diede allo scalo ligure. Per questo soprattutto passerà alla storia. Di famiglia di origine abruzzese era nato casualmente a Firenze nel 1935, perché suo padre, ufficiale dei carabinieri, era casualmente di servizio nel capoluogo toscano. Poi il padre venne trasferito a Genova dove trascorsa buona parte della sua carriera   (la concluderà come generale) e dove poi volle trasferirsi, a Quinto, nella vecchiaia. Il generale D’Alessandro era cugino del generale Dalla Chiesa Roberto D’Alessandro prese la maturità classica al liceo Emiliani e si laureò in giurisprudenza, completando poi corsi di perfezionamento in management in Svizzera, Francia e Inghilterra.

Cominciò la sua carriera manageriale, andando in crescendo da azienda ad azienda all’Italsider passando poi alla Zanussi e alla Pirelli. Si era imposto in particolare per l’abilità a dirigere il settore commerciale. Parlava inglese, francese e tedesco con disinvoltura. Si innamorò di Portofino dove prese in affitto un appartamento che s’affacciava sulla piazzetta, diventando amico delle famiglie locali e frequentando i vip che vi trascorrevano le vacanze. Così nel 1975 venne eletto sindaco d’una lista civica, carica che tenne per dieci anni. In quel periodo “inventò” un ruolo culturale elitario che Portofino non  aveva mai avuto. Fece trasformare un piccolo cinema abbandonato in teatrino e chiamò a dirigerlo Giorgio Strehler che aveva una casa nel borgo e che era all’apice della fama.

Per una decina d’anni, d’inverno, il teatrino venne visitato in serate memorabili da attori nazionali, musicisti, cantanti, attirando l’opinione dei media nazionali. In questo contesto D’Alessandro, anche grazie al cugino Dalla Chiesa, entrò in contatto con Bettino Craxi che fu colpito dalla sua personalità. Nel frattempo D’Alessandro era entrato nel gruppo Fiat ed era stato nominato al vertice della casa editrice Fabbri-Bopiani-Etas. Gruppo che lasciò quando Craxi lo nominò presidente del Porto di Genova. Lo scalo stava boccheggiando dopo anni di crisi e di gestioni passive e burocratiche. I traffici erano quasi annullati in tutti i settori. Non era facile trattare con gli imprenditori, con la burocrazia del Consorzio e coni potentissimi portuali. I partiti, di tutte le correnti, non avevano un’idea precisa del ruolo dello shipping e tiravano a campare difendendo lo “status quo”.

D’Alessandro con la catena di “Libri Blu” che venivano presentati e illustrati a Palazzo San Giorgio e nei quali D’Alessandro mise a punto una rivoluzione organizzativa che divideva i ruoli faceva concessioni a operatori privati, mentre  con una azione intensa di marketing recuperava traffici e mercati. Fu un successo in crescendo con i soli ostacoli dei partiti politici travolti da una azione che non riuscivano ad afferrare e, per ovvi motivi, dalla Culmv guidata da Paride Batini. Batini e D’Alessandro si stimavano, ma avevano visioni strategiche completamente diverse. Batini difendeva il ruolo – per molti aspetti egemone – dei portuali, mentre D’Alessandro aveva una visione di tipo privatistico e liberale.

La situazione di bloccò emblematicamente nella famosa riunione in cui venne chiamato ad arbitrare lo scontro il cardinale Giuseppe Siri che stava chiudendo la sua lunga carriera. Il dibattito finì in una sorta di pareggio un po’ alla maniera della Prima Repubblica e D’Alessandro capì che la sua rivoluzione sarebbe andata avanti (e così avvenne)   ma era il momento per lui di voltare pagine. Venne nominato al vertice della Agusta Elicotteri ma, dopo alcuni anni, anche l’azienda venne investita dalla tempesta di “Mani Pulite” che, tra l’altro, aveva tra i suoi obiettivi maggiori proprio l’azzeramento di Craxi.

D’Alessandro venne coinvolto in diverse azioni giudiziarie e anche arrestato. Alla fine, per fortuna, ne uscì a testa alta perché era chiara la sua correttezza gestionale. Ma la sua corsa di manager era finita anche perché era identificato con il legame con Craxi. Era stato recuperato per la gestione dell’aeroporto della Malpensa ma si dovette dimettere per attacchi strumentali e livorosi dei partitini dell’estrema sinistra. Decise di trascorrere più tempo possibile a Portofino piuttosto che restare a Milano.

La Liguria era la sua patria reale: aveva avuto anche un periodo di fortuna sportiva, negli anni dell’Università, come giocatore della Pro Recco, quella della generazione più famosa e fortunata. Passeggiava, leggeva, non si stancava mai di Portofino, di cui, per pochi voti, non fu eletto sindaco per la terza volta e che lui aveva reinventato come una capitale della cultura.  Ma non voleva più parlare del passato e delle vicende del Porto di Genova. Però meriterebbe una targa a Palazzo San Giorgio. Genova gli deve una sua determinante rinascita.