Regionali Liguria, l'eterno rinvio per il candidato del centrosinistra

di Paolo Lingua

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Regionali Liguria, l'eterno rinvio per il candidato del centrosinistra

Né stasera né domani ci saranno riunioni di vertice (del Pd o eventuali assemblee con tutti i rappresentanti del centrosinistra) per cercare di individuare il possibile candidato dello schieramento alla presidenza della regione. Una candidatura che, per logica, non può essere fine a se stessa, ma, a seconda della scelta, potrebbe portare almeno a tre conclusioni: Pd, centristi e renziani nel caso d’una linea moderata; un asse Pd, grillini e partitini di sinistra nel caso d’una celta marcata e radicale; oppure “liberi tutti” con una corsa a più candidati. Per la verità questa radiografia a casacca di Arlecchino il centrosinistra se la sta portando in tutte e sette le regioni italiane dove il 20 settembre è previsto il voto. Già in sei regioni Pd e grillini vanno divisi; in tre regioni il Pd ha fatto alleanza con Italia Viva.

E, a livello romano, all’interno della coalizione di governo non mancano litigi e dissensi: sulle opere pubbliche, sull’applicazione del “modello Genova”, sulla revoca o no della concessione autostradale ad Aspi. Nei giorni che seguiranno a partire da lunedì tutte le soluzioni sono possibili, anche se sembrano più ardui ni faticosi compromessi perché in molti dei problemi in corso le risposte debbono essere nette e chiare. La filosofia del “ni” non ha spazi a questo punto. Il che spiega l’imbarazzo e le divagazioni attendiste del presidente del consiglio Giuseppe Conte. Qualcuno – ma in particolare i partiti di opposizione  del centrodestra – spingono per puntare alla crisi e alle possibili elezioni politiche. Una soluzione che, per adesso, nessuno dei partiti di governo accetta, in parte perché temono di perdere, in parte perché, comunque vada ci sono schieramenti, come il M5s, che comunque rischierebbero di veder ridotti di due terzi i loro parlamentari (rischio concreto anche per i renziani) o altri, come i piccoli partiti di centro e di sinistra, che rischiano di restare letteralmente fuori dalla Camera e dal Senato, anche perché se passerà il referendum che prevede il taglio dei parlamentari, la situazione sarebbe ancora peggiore.

Vedremo cosa accadrà nei prossimi giorni. I grillini sembrano paralizzati, i partitini di estrema sinistra rimpiangono la ormai difficile candidatura di Ferruccio Sansa. Ma chi è in maggiore difficoltà resta il Pd che è il partito potenzialmente leader dello schieramento e che dovrebbe operare la scelta definitiva del candidato, Ma il Pd teme spaccature a destra o a sinistra e non riesce a trovare la quadra d’un candidato capace di fare unità, anche perché, se i nomi che sono usciti nei mesi scorsi sono bruciati, non è così facile “inventarsi” nuovi nomi. Anche perché, dopo un percorso contorto e contraddittorio (per non dire pasticciato sia a Roma sia in Liguria), non è facile convincere personalità della cosiddetta “società civile”, vale a dire privi di esperienza politica anche se di alto valore professionale, a fare un salto nel buio. Il centrosinistra in Liguria, dopo cinque anni di sconfitte a tutte le prove elettorali (politiche, europee, reginali e comunali) aveva bisogno d’una partenza alla grande con un nome di prestigio a 360° per risalire la china e tentare il colpo e una emblematica rivincita. Ma errori, veti, confusioni, contraddizioni nazionali e locali hanno reso ancora più difficile la sfida, che diventerebbe poi una battaglia impossibile se dovessero poi nascere delle divisioni tra i partiti.

Molti dirigenti, sentiti in privati, non nascondono amarezza e delusioni. E’ indubbio comunque che un quinquennio di sconfitte ha logorato i quadri politici locali che non hanno nascosto rivalità e profonde diversità anche di strategia. Savona, Imperia, Genova e La Spezia sembrano assai divise. Solo un miracolo o una leadership che, tramontato Claudio  Burlando, non c’è più,  potrebbero rovesciare la situazione. Anche perché non sarebbe neppure facile capovolgere la situazione di incertezza e di contraddizioni con ordini perentori dall’alto. E, a quanto pare, né Crimi né Zingaretti sembrano inclini a scavalcare le situazioni locali, in particolare di fronte a un affresco nazionale diviso e diverso in ogni regione. Inoltre i leader romani hanno già abbastanza rogne da rivolvere con le scelte strategiche del governo.