Quirinale: la conclusione più sensata

di Paolo Lingua

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Quirinale: la conclusione più sensata

L’elezione di Sergio Mattarella al Quirinale e la conferma, di fatto, di Mario Draghi a Palazzo Chigi sono l’esito migliore che ci si poteva attendere, in un momento tanto difficile e delicato della situazione politica, sociale ed economica del Paese. Alla fine, dopo tante giravolte, confusioni e contraddizioni di cui sono stati protagonisti tutti i fragili partiti, la coalizione che sostiene il Governo ha votato compatta per il mantenimento, si psera nel rafforzamento, dello “status quo”. Ovviamente, i sono stati comportamenti differenti, errori, sbandate e confusione. Anche perchè non pochi leaders cercavano immagine e successo. Ma si sono confusi gli “spot” con il ragionamento politico concreto.

Le contraddizioni più vistose hanno caratterizzato la area del centrodestra che ha cercato di far passare davanti all’opinione pubblica il fatto di essere lo schieramento più forte in Parlamento oltre che alla testa di gran parte delle Regioni. Ma si sono inseguiti e sovrapposti non pochi errori. Il primo è stato l’autocandidatura di Silvio Berlusconi che, a una severa analisi della situazione, si poteva capire subito che non avrebbe retto per una serie infinita di motivi, a cominciare dall’età sino alle condizioni di salute, ma anche per gli aspetti contraddittori della sua vita politica. Gli stessi alleati – Lega e Fratelli d’Italia – non sprizzavano entusiasmo e lì’ex cavaliere si è ritirato prima del voto. Ma c’erano e sono emerse profonde differenze: la Meloni è sempre stata contraria alla conferma degli equilibri basati sull’asse Mattarella-Draghi, perché ha continuato a insistere sulle elezioni anticipate, essendo l’unico partito all’opposizione. Forza Italia, alla fine dei conti, invece ha puntato in conclusione al mantenimento degli attuali equilibri spostandosi sempre più al centro. Salvini è stato condizionato dal suo carattere e dal suo temperamento nei quali si mescolano il sogno del leader politico e la voglia di manifestazioni esteriori e di propaganda. Di qui i tentativi maldestri di inventare nomi di area di centrodestra (tutti però privi d’una maggioranza assoluta) che non sarebbero mai stati votati dai partiti di centrosinistra, sino, per la verità, al disastro della candidatura della Casellati. A questo punto Salvini , dopo un complicato tavolo con i vertici dei partiti di centrosinistra, ha recuperato in extremis Mattarella (e Draghi). D’altro canto, il leader della Lega non ha mai voluto andare al voto anticipato e ha sempre sostenuto il mantenimento dell’attuale assetto di governo sino alla scadenza naturale delle Camere. Il voto su Mattarella ha però portato all’attuale rottura con Fratelli d’Italia. Il centrodestra, come tutti dichiarano, dovrà in qualche modo – e si vedrà se la cosa andrà in porto – ricostruire un complesso rapporto.

Non sono mancati errori e contraddizione anche nel centrosinistra, in particolare in casa del M5s, dove è emerso, e sarà frutto nei prossimi giorni d’un difficile confronto, tra Di Maio e Conte. Quest’ultimo si è mosso a volte in maniera agitata, cercando candidati e anche puntando a una ripresa del dialogo con Salvini, ritirandosi poi al momento del voto. Si parla di una spaccatura profonda del M5s che però sarà tutta da verificare prossimamente.

Merita una osservazione a parte il comportamento del Pd e del suo leader Enrico Letta, consapevole di avere una certa forza elettorale ma numericamente non determinante. Letta ha cercato di tenere insieme l’area della sinistra (ci è riuscito con Leu) dicendo sempre no ai candidati proposti da Salvini (a cominciare da Berlusconi). Non si è mai rsposto proponendo suoi candidati, sapendo che a loro volta sarebbero stati silurati. Alla fine, pur non muovendosi da vincitore è riuscito a concludere senza essere uno sconfitto, perché la mediazione finale è stata la soluzione più logica. Ora il Pd punterà ad accrescere i suoi consensi, sostenendo Draghi, ma restano le incognite elettorali, perché la crescita del partito di Letta potrebbe coincidere con il declino dei suoi alleati, considerato che si andrà a un Parlamento nettamente meno numeroso e con forti rischi di crolli di voti a molti partiti.

La piccola area di centro ha finito per sostenere Mattarella, anche se ora emergono, in particolare da parte dei “grillini”, polemiche nei confronti del raggruppamento di Giovanni Toti perché non ha sostenuto la Casellati, ma sono beghe del momento frutto di risentimenti a caldo. Renzi non è riuscito a essere dterminente, ma s’è adeguato al voto finale che alla fin dei conti non gli è mai dispiaciuto anche perché il leader di Italia Viva non voleva assolutamente andare alle elezioni.

Ora occorrerà capire, al di là del ritorno di Mattarella al Quirinale, come opererà il governo: Draghi dovrà imporsi con energia e resistere a partiti che pur volendo restare nell’esecutivo sino alla primavera del 2023 pensano già alla propaganda elettorale. Draghi gode della considerazione internazionale, fatto di grande importanza, ma deve sperare di superare i problemi della pandemia e di puntare a un ritorno alla normalità e alla ripresa economica. Una sfida difficile ci attende tutti.