La guerra in Siria, il rapporto con la Turchia e il Business
di Paolo Lingua
Forse sono pochi quelli che hanno letto o ricordano un romanzo di Jules Verne “Keraban l’ostinato” che racconta, in chiave ironica e paradossale, le bizzarre vicende d’un facoltoso commerciante di tabacchi turco alle prese con polemiche con il suo governo (siamo attorno alla seconda metà del XIX secolo) e che intraprende la circumnavigazione del Mar Nero, via terra, insieme a bizzarri amici, tra i quali dei nobili e valorosi curdi. Nel romanza i rapporti sono di stima reciproca e molto civili. Pure è nota e fa parte di pagine tristi della storia, anche relativamente recente, l’astio dei turchi ottomani, nei confronti delle minoranze etniche del loro impero: dai curdi, dispersi in quattro stati e senza una vera patria, sino agli armeni che furono vittima di una strage etnica e le cui gesta sono state ricordate in importanti libri.
L’odio etnico è risorto con Erdogan: è sotto i nostri occhi ed è assurdo che si ripercuota su una popolazione le cui milizie sono state determinanti a sconfiggere il califfato dell’Isis. Nella vicenda è mersa però la confusione e le contraddizioni degli Usa, e in particolare del suo presidente Donald Trump che ha lasciato la via libera alle truppe di Erdogan. Ma è venuta a galla la fragile spina dorsale dell’Unione Europea. E’ inutile che gli stati Europei celebrino i valori della democrazia, della libertà e della tolleranza con pomposa solennità, in ogni ricorrenza o anniversario, ma poi voltino la faccia contro il muro quando questi valori vengono violati, calpestati e straziati, come in questi giorni e in una zona del mondo non troppo lontano dai ricchi stati dell’Occidente. In realtà quasi tutti i grandi Stati europei (per non parlare degli Usa) hanno forti rapporti d’interesse con la Turchia e temono per gli interventi di import export, per le imprese trasferita in un territorio dove il costo del lavoro è assai minore, con forti intrecci di interessi imprenditoriali sia dell’industria, sia del commercio, sia dello shipping. Questo al di là della minaccia – che è a livello civile inaccettabile - dell’apertura d’una corsa verso l’Europa occidentale di migliaia di profughi e di ancor più pericolosi ex combattenti dell’ Isis liberati dalle carceri. Ora vedremo se l’Europa, manche per evitare la concorrenza astuta dell’asse tra il presidente siriano Assad e l’abile presidente russo Putin che hanno invece da pochi giorni giocato contro l’azione militare dei turchi. E l’Italia? L’Italia è moralista a parole ma poco nei fatti. Cerca la copertura dell’Europa anche se i partiti, sia di governo, sia di opposizione borbottano e brontolano contro Erdogan, che non sembra particolarmente preoccupato. Per l’Italia, per dire tutta la verità sino in fondo, vale il discorso già accennato degli interessi economici che sono molto vistosi, superando, per molti aspetti, il timore dell’arrivo di profughi di guerra. Ci sono in ballo centinaia di milioni che l’imprenditoria privata ha nel business con la Turchia.
L’Italia, ma fa parte del suo DNA, spera che si compatti dietro alla Francia (e adesso, con fatica, anche dietro alla Germania) una posizione unitaria dell’Ue con il blocco iniziale della vendita di armi a Erdogan. Va dato atto che in tutta Italia, e anche a Genova in particolare, non sono mancate manifestazioni di solidarietà nei confronti del popolo curdo (persino con l’imbrattamento del consolato turco, ora controllato da forze dell’ordine armate). Segno che il problema, da punto di vista etico è sentito di fatto dall’opinione pubblica. Ma per dare concreti segni di solidarietà non basteranno dichiarazioni generiche come abitualmente fanno i nostri partiti, paghi solo delle parole. Ma considerato lo stato confusionale sulle scelte strategiche del governo in economia e sul sociale non possiamo farci troppe illusioni.
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