Processo Nada Cella, lente di ingrandimento sulla scena del crimine: il racconto del sopralluogo
di Emilie Lara Mougenot
Nell’udienza odierna del processo per l’omicidio di Nada Cella, tre testimoni convocati dalla procura hanno riportato alla luce dettagli sulla dinamica di quella mattina di maggio 1996

Un sopralluogo pieno di lacune, una scena compromessa già nelle prime ore e le tracce di un’aggressione feroce: sono questi gli elementi centrali emersi nell’udienza odierna del processo per l’omicidio di Nada Cella, la segretaria uccisa il 6 maggio 1996 nello studio del commercialista Marco Soracco. A quasi trent’anni di distanza, il caso è stato riaperto nel 2021 e ha portato sul banco degli imputati Anna Lucia Cecere, accusata del delitto, e lo stesso Soracco, indagato per favoreggiamento.Presente sul luogo del delitto anche Marisa Bacchioni, madre del commercialista, inizialmente indagata per favoreggiamento. La sua posizione è stata poi stralciata per sopravvenuta incapacità a sostenere il processo, avendo oggi 93 anni. Ma nel 1996 il suo ruolo fu tutt’altro che marginale: fu lei a pulire le scale e parte dell’ufficio, dichiarando di non voler lasciare tracce di sangue che potessero “spaventare i clienti”.
Dal corridoio all’ufficio – La procedura prevede sempre un ingresso cauto. A riferirlo in aula è stata Daniela Campasso, vice dirigente della polizia scientifica dell’epoca, che ha spiegato come il loro arrivo sulla scena del crimine sia avvenuto nella seconda metà della mattinata, quando all’esterno erano già presenti diverse persone. All’interno si trovavano agenti della squadra mobile e del commissariato. Un via vai continuo, a partire dal momento del ritrovamento del corpo, che avrebbe potuto compromettere elementi fondamentali per l’indagine. Campasso ha raccontato che la scena presentava chiari segni di un’aggressione di straordinaria violenza. Nei sopralluoghi, ha sottolineato, particolare attenzione va sempre data al bagno e alla cucina, dove è presente l’acqua: un elemento che può essere usato per ripulire superfici o cancellare tracce. Dalle fotografie analogiche scattate all’epoca emergono indizi che confermano l’uso della cucina: sul ripiano sono visibili guanti e una bacinella ancora bagnati, probabilmente utilizzati da Marisa Bacchioni. Il bagno, al contrario, risultava completamente asciutto. Il corridoio appariva insolitamente pulito, ma alcuni dettagli suggeriscono che l’aggressione possa essere iniziata proprio lì, per poi proseguire all’interno dell’ufficio.
Huis clos – L’apice della lite si sarebbe consumato nell’ufficio di Nada. È lì che fu ritrovata una grande quantità di sangue, insieme a numerosi elementi utili per ricostruire la dinamica dell’aggressione. Il corpo della vittima giaceva accanto a una scrivania spostata, presumibilmente mossa dai soccorritori nel tentativo di salvarle la vita. Tracce ematiche erano presenti persino tra la scrivania e la parete, suggerendo un possibile spostamento dell’arredo anche durante la colluttazione. Le pareti mostravano schizzi di sangue e capelli aderenti, a indicare che la testa di Nada aveva urtato o era stata appoggiata contro il muro. Sul pavimento, il sangue coagulato formava una vasta macchia. Una pozza consistente, segno di una copiosa emorragia. Campasso ha inoltre riferito della presenza di un pezzo di carta da parati strappato, ulteriore testimonianza della violenza e del disordine generato dall’attacco. Il sangue era proiettato da un’estremità all’altra della stanza, confermando l’ampiezza della scena e l’intensità dell’aggressione subita dalla giovane donna.
Gli oggetti – Tra gli elementi che hanno attirato l’attenzione degli inquirenti sulla scena del crimine, spicca anche un dettaglio apparentemente secondario: un portaombrelli. È stato ritrovato in cucina, ma la sua posizione è apparsa subito anomala. Secondo quanto riferito in aula, con ogni probabilità l’oggetto si trovava inizialmente nel corridoio, dove l’aggressione potrebbe essere cominciata, per poi essere spostato in un secondo momento. Sul bordo inferiore sono state rilevate tracce ematiche dalla forma allungata, tipiche di schizzi dinamici: un indizio compatibile con una colluttazione violenta nelle fasi iniziali dell’attacco. Il fatto che sia stato analizzato soltanto tre settimane dopo il delitto aggiunge un ulteriore elemento alle lacune emerse nella gestione dei primi rilievi. Sotto osservazione anche alcuni oggetti in onice appartenenti al set da scrivania : un vassoietto, un posacenere, un portapenne e un fermacarte. Certi accessori si trovavano sulla scrivania del commercialista Marco Soracco, non in quella di Nada Cella. Diversamente, il fermacarte – dalla caratteristica forma rotonda – fu rinvenuto proprio nell’ufficio della segretaria. In aula è stato sottolineato come questi oggetti, abitualmente maneggiati, avrebbero potuto conservare impronte o residui biologici rilevanti. Invece no, non una traccia, come se fosse stato pulito anche questo o come se non fosse mai stat usato. L’assenza di riscontri non ha sorpreso gli investigatori.
Aggressione d’impeto – Il dirigente della scientifica Cosimo Cavalera ha fornito una valutazione tecnica sul tipo di violenza riscontrata. Secondo quanto riferito, le micro-tracce trovate all’ingresso erano compatibili con lesioni causate da un’azione improvvisa e violenta. L’aggressione, quindi, avrebbe avuto inizio proprio nell’area d’ingresso, con un impeto incontrollato, forse un cortocircuito, uno scatto d'ira. Il portaombrelli, spostato e sporco di sangue, conferma questa lettura: l’azione omicida avrebbe avuto inizio non nell’ufficio, ma appena oltre l’ingresso. Sulle braccia della vittima è stata riscontrata una lesione semicircolare all’avambraccio, compatibile con l’uso, anche, di un oggetto contundente.
“Non ricordo” – La terza testimone ascoltata in aula è stata Paola Mazzini. Nel gennaio 1996 aveva iniziato a fare la praticante nello studio del commercialista. Oggi, però, la sua memoria appare annebiata. I ricordi di quella mattina sono frammentari: Mazzini ha riferito di essere arrivata come di consueto verso le 9.30, trovando davanti alla palazzina rosa alcuni agenti di polizia, che comunque le permisero di salire. Sulle scale, ha raccontato, incontrò Marisa Bacchioni, madre di Soracco, che si limitò a dirle: “Nada ha avuto un malore”, quando ormai si parlava già apertamente di aggressione. Nel 1996, Mazzini aveva riferito che la donna stava pulendo le scale in presenza della polizia, questa avrebbe contribuito a compromettere la scena del crimine. La testimone ha però dichiarato di non ricordare se Marisa avesse mai chiesto a Nada di filtrare le telefonate destinate al figlio. Né, ha aggiunto, le risulta di aver sentito parlare all’epoca di Anna Lucia Cecere, l’attuale imputata per l’omicidio.
Un via vai continuo, l’odore di candeggina e versioni parziali hanno sicuramente contribuito a compromettere irrimediabilmente gli esiti delle prime indagini.
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