Processo Cella, le strane confidenze di Soracco al collega prima del delitto

di Emilie Lara Mougenot

2 min, 35 sec

Lo zio e un ex collega riportano in aula le parole inquietanti di Soracco e le paure della vittima prima dell’omicidio

Processo Cella, le strane confidenze di Soracco al collega prima del delitto

Parole pesanti come macigni e ricordi tornati alla luce a quasi trent’anni di distanza: è quanto sta emergendo nel processo per l’omicidio di Nada Cella, la giovane segretaria uccisa nel 1996 a Chiavari. Nella nuova udienza, il racconto dello zio e di un ex collega del datore di lavoro della vittima ha aperto nuovi spiragli sulla quotidianità nello studio dove lavorava la ragazza. Confidenze, timori e frasi ambigue diventano elementi chiave nel tentativo di ricostruire il contesto che ha preceduto il delitto.

"Era riservata e io sono riservato" – Saverio Pelle, zio acquisito della vittima, ha raccontato che Nada gli aveva parlato in modo preoccupato di quanto accadeva sul luogo di lavoro. Secondo il suo racconto, la nipote aveva visto grosse quantità di denaro in contanti e si sentiva vittima di attenzioni indesiderate da parte del titolare. “Era impaurita, infastidita, agitata”, ha detto in aula. Per questo, l’uomo le avrebbe suggerito di non denunciare ma di licenziarsi con una raccomandata e di non tornare più in ufficio.

Dialogo sull’usura – La confidenza sarebbe arrivata durante una conversazione sull’usura. “Le dissi che a Milano era un fenomeno diffuso e lei rispose che lo era anche nei piccoli centri”, ha riferito Pelle. Poco dopo, la giovane gli avrebbe rivelato di sentirsi triste e provata. Il testimone ha ammesso di non aver riferito subito quelle parole per rispetto della promessa di riservatezza, ma di averlo fatto nel 1997, quando le indagini sembravano ferme.

Presenza mancata – Nell’udienza era attesa anche la madre della vittima, Silvana Smaniotto, da sempre convinta del coinvolgimento di Marco Soracco nella morte della figlia. Tuttavia, per motivi legati all’età e alle sue condizioni fisiche, non ha potuto presentarsi in aula. A spiegare l’assenza è stata la sua avvocata, Sabrina Franzone, che ha informato la corte dell’impossibilità della donna di raggiungere Genova, dove si sta svolgendo il processo.

Confidenza per confidenza  – Ha suscitato attenzione anche la deposizione di Paolo Bertuccio, commercialista e vicino di casa di Soracco. L’uomo ha ricordato una serata del 23 aprile 1996, poco prima del delitto, in cui Soracco, parlando con apparente leggerezza, gli avrebbe detto: “Ho iniziato i corsi di ballo… e poi ci sarà la botta. Riguarda il mio studio, la signorina vuole andare via”. All’epoca la frase non destò sospetti, ma il successivo omicidio portò Bertuccio a rivolgersi alla procura.

Microspie e incontri – Dopo aver segnalato il ricordo al procuratore capo dell’epoca, Gio Batta Copello, Bertuccio fu coinvolto in due incontri riservati con Soracco, organizzati dagli inquirenti. Dotato di microfoni nascosti, tentò di far riaffiorare quella frase, ma Soracco negò qualsiasi memoria dell’episodio: “Non è mio costume parlare così”, avrebbe detto. Un’esperienza che lasciò il testimone con un senso di isolamento: “Per 27 anni sono stato l’unico chiavarese ad aver detto qualcosa. Mi sono sentito lo scemo del villaggio”.

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