Ponte Morandi, di rinvio in rinvio
di Paolo Lingua
2 min, 53 sec
Il Punto di Paolo Lingua
Sarà meglio d’ora innanzi non fissare più date incise nella roccia o lanciare squilli di tromba sulle tappe di demolizione del ponte Morandi. Anche oggi, la riunione presso il sindaco-commissario e i tecnici ed esperti ha partorito l’ennesimo rinvio e ha lasciato aperte tutte le problematiche già conosciute.
Il dilemma, come un pendolo fatale, oscilla sulla città: demolire piloni e travi pezzo a pezzo, oppure impiegare (magari anche per gli edifici ex abitativi predestinati alla distruzione) le microcariche di dinamite? Inoltre (e qui stanno le pieghe più ambigue del quesito) è più inquinante e dannoso per la popolazione impiegare la dinamite, oppure la distruzione meccanica?
Per adesso non c’è risposta e va ricordato che nel caso degli esplosivi occorrerà trasferire in albergo anche quella parte dei residenti nelle zone vicine per un po’ di giorni, ma potrebbero essere più di mille persone, con costi da mettere in campo. In parole povere, la situazione è assai complessa e sta mostrando – però come era del resto prevedibile – una quantità di problematiche che emergono, giorno dopo giorno.
Ma va detto anche che erano problematiche più che prevedibili sin dall’inizio, a meno di non essere del tutto sprovveduti. La questione della demolizione, non ci stancheremo mai di ripeterlo a costo di sembrare banali e noiosi, è certamente l’aspetto più complesso della triste vicenda del ponte Morandi. Intanto si tratta di strutture ardite e imponenti di per sé difficili da demolire.
In secondo luogo queste strutture hanno sovrastato per decenni un denso abitato, linee ferroviarie e stradali, aziende, un torrente che segna un’intera vallata. Tutto questo comporta complesse difficoltà di “trattamento” se vogliamo chiamarlo così, senza contare che negli ultimi decenni la questione dell’amianto e dei rischi oncologici che presenta ha quasi paralizzato molti interventi demolitori in tutta Italia, con rischi di denunce civili, amministrative e penali. Questo spiega l’ondata di prudenza che ha investito le scelte del sindaco-commissario e dell’équipe dei tecnici.
E’ finita quindi l’epoca, peraltro di breve durata, dei facili ottimismi e degli annunci-spot. Occorre andare con i piedi di piombo, anche perché ogni passo dell’amministrazione è seguito con il massimo scrupolo dalla magistratura che opere contestualmente nel rilevare la dinamica del crollo e delle possibili e potenziali responsabilità dirette e indirette.
Tuttavia, sia pure con la debita prudenza, non è il caso di fermarsi. L’operazione di demolizione va fatta in tempi rapidi senza concedere nulla alla retorica e agli eccessi di “politically correct”. Perché la città non si può permettere ritardi assurdi. Chiariti i dubbi occorre procedere senza indugi. E poi sarà importante come (e dove) rimuovere rottami, detriti e tutto quanto resta del ponte demolito.
L’intera zona, anche per cancellare il funesto ricordo della tragedia, deve cambiare look e semmai recuperare dal punto di vista del paesaggio. In questa prospettiva c’è da augurarsi, ma sempre senza blindare un calendario surreale, che i lavori di costruzione, in uno spazio lasciato libero e agevole, possano invece procedere spediti, visto che non ci dovrebbero essere rischi di amianto e di inquinamento e che le strutture dovrebbero essere più agili e più moderne e, alla fin dei conti, più sicure.
Questo è il “dream” di un’intera popolazione che aspetta la ripresa e la ricrescita reale, senza farsi troppe illusioni, ma ormai disposta a rimuovere la antropologia dei “veti incrociati” che purtroppo ha distinto in senso negativo Genova nel corso dell’ultimo mezzo secolo con danni per tutti, anche per chi si inventava veti ogni giorno.
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