Ponte e Terzo Valico, i cantieri delle grandi opere non si fermano
di Paolo Lingua
Sul piano della prospettiva dell’asse portante il ponte, che ormai possiamo definire ex Morandi, ha raggiunto oltre i due terzi della lunghezza prevista: gli impalcati d’acciaio, secondo un progetto intelligente e moderno, hanno scavalcato l’alveo del Polcevera e ormai hanno occupato una parte dell’orizzonte che per quasi un anno e mezzo è rimasto vuoto. E’ una prova ulteriore, se mai non ci fosse bisogno di ripeterlo, che l’idea della gestione commissariale (in questo caso affidata a un sindaco come Marco Bucci, che non è un politico, ma viene dal mondo manageriale) è stata vincente. Al di là dell’esigenza concreta di agire con la massima rapidità, data la drammaticità degli effetti economici del crollo, nelle operazioni di ricostruzione, la tragedia ha aiutato a individuare una grave carenza del sistema amministrativo e legislativo italiano in materia di grandi opere pubbliche.
Si tratta di un settore – non ci stancheremo mai di ripeterlo – dove un groviglio di leggi, leggine e regolamenti aggiuntivi, oltre che la volontà politica territoriale di giocare sui veti incrociati hanno sempre ritardato se non addirittura bloccato l’azione di realizzazione. La politica, soprattutto nel recente passato, andando alla ricerca di consensi anche minoritari non ha svolto mai un’azione di accelerazione, non considerando l’importanza economica e strategica delle grandi opere, in particolare quello di comunicazione, di trasporto e di logistica, fondamentali sul piano della concorrenza internazionale in particolare oggi quando assistiamo a repentini cambiamenti di strategia della produzione e dei mercati a livello internazionale.
E’ un bene quindi che la ricostruzione del ponte vada avanti. Certo, è logico capire, senza impuntarsi più di quel tanto, che in queste settimane che ci attendono, pressati e spaventati per la crescita della diffusione del coronavirus, con molte strutture produttive di fatto fermate, i lavori rallenteranno per forza di cose. Quindi è meglio non fissare date fisse e rigorose per il decollo del funzionamento del ponte che rimetterà in collegamento una linea autostradale stratetica interrotta dall’agosto del 2018. L’importante è che non ci si fermi e che si vada avanti. Ovviamente, ma non è neppure il caso di sottolinearlo, con tutte le possibilità di sicurezza e di controllo che sono necessarie in questo momento così importante per la diffusione del contagio. Ma il proseguimento del lavori è anche psicologicamente importante per Genova e per la Liguria per tenere alta la speranza e di dimostrare la capacità di far fronte alle tragedie, anche quelle più assurde e ingiustificate come quella del ponte ex Morandi.
Di pari passo vale lo stesso ragionamento per proseguire, come è stato confermato, sia pure con rallentamenti prevedibili, nei lavori del Terzo Valico. La ferrovia “ad alta capacità” Genova-Milano ha avuto una incubazione di un quarto di secolo, prima di essere considerata un’opera fondamentale e strategica. Ci sono state “fermate” tattiche e strumentali, politiche e cerebralmente ambientalistiche, valutazioni astruse sul rapporto costi-benefici, con coinvolgimenti della destra e della politica a seconda del momento. Poi, finalmente si è partiti e si è sempre andati avanti rispettando il calendario dei lavori. Anche in questo contesto, sempre per via dei problemi connessi al coronavirus, ci sono stati e sono previsti dei rallentamenti, tutto sommato fisiologici. Ma, questo è l’aspetto importante, non ci sono stop.
Qualche cantiere si fermerà, ma altri andranno avanti, considerato che si è già al di là della metà dell’opera la cui conclusione è prevista intorno al 2022. Il Terzo Valico è un’opera strategica diversa dalla ricostruzione del ponte, ma appartiene alla stessa filosofia e alla stessa concezione strategica. Sono strutture necessarie a reggere la concorrenza europea. In Italia ce ne sono altre in attesa di decollare o di ripartire. Tutte Avrebbero bisogno di un commissario. Ecco una riforma urgente che i governo dovrebbero fare propria e trasformarla in legge operativa. Anche in questo caso, ma molti ormai lo ammettono, Genova ha fatto scuola, secondo una vecchia definizione che la chiamava “il laboratorio delle riforme”.
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