Genova: 4 agosto 2020, ore 22: il primo viaggio sul nuovo Ponte
di Michele Varì
Sbucare dalla galleria Coronata sul viadotto San Giorgio è un pugno allo stomaco: e il pensiero va a Henry, al piccolo Samuele e alle altre vittime
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Il semaforo rosso diventa verde, s'illumina, alle 22 in punto del 4 agosto 2020 in un silenzio irreale. Via le transenne. Il Ponte Genova San Giorgio o Ponte Polcevera, come sta scritto sui cartelloni, dopo quasi due anni da quel maledetto 14 agosto del 2018 torna ad unire Genova.
Due pattuglie della polizia stradale fanno strada alla carovana dei giornalisti arrivati in auto da ogni parte d'Italia e pure dall'estero.
Si procede a velocità ridotta. Con rispetto. In punta di piedi come in chiesa o a un funerale. Trenta km orari possono essere anche troppi quando si tenta di voltare pagina dopo un trauma.
La galleria Coronata, quella che dall'Aeroporto, da ponente a levante, conduce sull'abisso profondo 50 metri, ed è irriconoscibile, eppure quante volte l'abbiamo percorsa, magari distratti, al telefono, pensando ad altro, ascoltando la musica. Stavolta però gli occhi sono fissi sulle pareti chiare di pittura fresca che non evocano ordine o neppure una rinascita, non evocano niente di bello a chi quel crollo lo ha vissuto dando voce, più che a ogni altro, ai familiari delle vittime.
L'asfalto della Coronata, la galleria dove solo la freddezza di un agente della stradale aveva evitato altri morti fermando sotto la pioggia battente gli automobilisti diretti verso il baratro, è asciutto e liscio come un biliardo e ancora odora di catrame, di bitume.
Intorno è tutto ovattato, innaturale, che non sembra neppure di essere su un pezzo delle rattoppate e tragiche Autostrade per l'Italia.
Sbucare fuori dalla Coronata è un colpo allo stomaco, lascia con il fiato sospeso e un po' fa paura: pensi a Henry, morto troppo giovane lavorando in nero per pagarsi gli studi sulla sua macchina gialla con una matura signora che accompagnava al beauty farm, pensi a Samuele, 7 anni e mezzo, morto con i gentori mentre andava al mare in Sardegna. Pensi a quante lacrime sono state versate per i 43 angeli.
Lassù il buio è punteggiato solo dalle luci di Genova. A destra l'orizzonte, il mare e l'insegna dell'Ikea, a sinistra le altre safetycar della stradale che guidano l'apertura della viadotto nel senso inverso.
I primi automobilisti e centauri, spesso genovesi che hanno atteso anche ore per essere i primi, festeggiano l'evento suonando il clacson, come si fa dopo una vittoria del Genoa o della Samp, o dell'Italia. Un giovane in scooter si è pure portato il tricolore. Come una Liberazione.
Ma guardando quei cartelli lucidi in alto che finalmente indicano Livorno e Milano e uniscono ancora Genova, guardando la curva a gomito dello svincolo che ti porta nel tunnel per Genova Ovest o alla rampa per Bolzaneto, hai voglia di dire che tutto tornerà come prima. No, non è così e quando transiteremo su questo ponte non potrà mai più essere come prima. E mentre osservi le linee perfette ed essenziali dei guard raill, la corsia d'emergenza e lo spazio protetto anche per chi lassù si trovasse a camminare a piedi, optional che il Morandi non aveva mai avuto, ti viene da pensare che il nome giusto, con tutto il rispetto per il santo simbolo di Genova tanto caro al commissario Bucci, non poteva che essere che legato ai 43 Angeli o a quel 14 Agosto 2018, unico modo per marchiare in modo indelebile una tragedia e un monito che nessun potrà e dovrà mai scalfire.
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