“Noi abitanti sotto il Morandi, pronti all'esodo fra polvere e speranze”.

di Michele Varì

3 min, 39 sec

Venerdì si trasloca da parenti o amici, ma c'è chi non sa dove andare. Niente vento, ma afa e quasi 40°

“Noi abitanti sotto il Morandi, pronti all'esodo fra polvere e speranze”.
Qualcuno ha risolto tutto con un lungo weekend fuori porta, come la signora Maria Teresa Gallingani e il marito Renzo Amoretti, abitanti in via Ristori, che se ne andranno dalla loro casa con vista Ponte in quella in campagna di amici a Serravalle Scrivia. Una gita un po' più lunga, da giovedì e sino a domenica. Nello stesso palazzo, 9 famiglie tutte di migranti ad eccezione di due, vive pure Bledar Deda, 24 anni, che ammette di sapere poco di quanto accadrà venerdì  e ancora meno di dove andrà una volta fuori casa perché lui non ha familiari lontano dal Morandi. A Certosa e dintorni, fra i circa 3500 abitanti con casa a meno di trecento metri dalle pile 10 e 11 del Morandi, il giorni che precedono l’abbattimento del moncone est sono anche l’occasione di riflessioni e di un primo bilancio a quasi un anno di disagi e paure cominciate quel maledetto 14 agosto. Non potranno mai dimenticare quella mattina la signora Franca e una delle tre figlie, anche loro albanesi, che dalla loro casa nello stesso palazzo di via Ristori, raccontano di lavori su quel ponte che toglievano il sonno, svolti per settimane e anche la notte prima del crollo e proprio nel punto in cui il Morandi è venuto giù, come la ragazza indica con un dito dalla finestra della sua cameretta (nella foto). La mamma, che fa la domestica a due anziani di Sant’Olcese, dice che venerdì andrà a lavorare e le figlie al mare o dalla zia in via Rivarolo, se la sera non fosse possibile rientrare a casa si faranno ospitare dai due anziani per cui lavora, il cuore dei genovesi, si sa, sa essere grande. Le vie di Rivarolo e di Certosa sono tappezzate di manifesti bianchi affissi per avvertire di cosa fare venerdì o anche avvisi degli incontri informativi del comune, ma in una via Fillak semi deserta quei fogli bianchi che saltano agli occhi su ogni portone e saracinesca abbassata fanno un effetto quasi spetrale, il necrologio di un quartiere. Nella stesso tratto di via Fillak, a pochi metri dalle ruspe che abbattono le case di via Porro, ci sono le abitazioni più vicine ai lavori, edifici grigi ricavati in ex caselli ferroviari di una vecchia stazione in disuso per treni merci in disuso. Qui vive la famiglia di un altro albanese, Mirtay, moglie e due figli, che quella casa, quando si dice sfortuna, l’ha comprata appena due mesi prima del crollo. Lui ammette di non sapere dove andare venerdì. Ma siccome lavora in un cantiere fuori Genova spera di ritornare a casa quando sarà tutto concluso. Nel centro d'accoglienza del Paladiamante, anche se ci fosse bisogno, non vuole andare, perchè è un posto piccolo e gli abitanti sfollati sono tanti, “non siamo bestie”, spiega. Mirtay la sera del crollo non era in casa, ma in Albania. Ma da carpentiere esperto in cantieri ed appalti importanti, come quelli della Coop, non riesce a capacitarsi che il ponte possa essere crollato per incuria, lui ancora adesso non esclude l'ipotesi di un esplosione, anche se lo dice a voce bassa. Aggiunge poi che i più danneggiati, dopo le 43 vittime e loro famiglie, sono quelli come lui, gli abitanti della zona rossa. Chi è andato via ha preso quanto meritava e si è messo tutto alle spalle. Chi è rimasto invece la notte non dorme per il rumore dei lavori e respira il dito di polvere che trova ogni mattina su davanzali e sulle auto. E questo chissà per quanti anni. Mirtay, infatti, e sicuro ed è pronto a scommettere che il ponte non potrà essere rifatto in un anno. “Di anni – dice - ce vogliono almeno 5”. Intanto nelle strade prosegue il lavoro d'informazione della protezione civile: saranno circa 450 i soggetti deboli segnalati dalla Asl che passeranno due notti in albergo: per venerdì l'unica incognita che potrebbe fare slittare il ponte day è il vento superiore ai 30 kh. Ma le previsioni dell'Arpal lo escludono, anzi, lanciano un allarme diverso: proprio fra giovedì venerdì su Genova e la Liguria scenderà la prima cappa di calore. Le temperature, già lievitate in modo sensibile in queste ore, potrebbero sfiorare i 40 gradi. Una brutta notizia per gli abitanti costretti a uscire di casa, ma anche per le centinaia di operai e tecnici che dovranno operare tutto il giorno sotto il sole avvolti dalla testa ai piedi in speciali tute protettive e le mascherine sul viso. Michele Varì