Morto Gianni Bonelli, era il braccio destro della Dc di Taviani in Liguria

di Paolo Lingua

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Con lui se ne va un pezzo di storia politica del dopoguerra, ecco il suo ritratto

Morto Gianni Bonelli, era il braccio destro della Dc di Taviani in Liguria

Con Gianni Bonelli, mancato questa notte nella sua casa di Carignano, all’età di 89 anni, se ne va un pezzo di storia politica importante della Genova e della Liguria del dopoguerra. Segretario provinciale e regionale per decenni della Dc di Paolo Emilio Taviani, di cui fu un braccio destro operativo nel partito e soprattutto un fedelissimo, sarebbe stato, perché molto preparato, un eccellente avvocato, ma di fatto trascurò la professione per una immersione in quella che un tempo era definita la “politica pura”.

Gianni Bonelli era nato a Campo Ligure ed era cugino (figli di due sorelle) del celebre don Andrea Gallo e di suo fratello Dino. Con il “ribelle” don Gallo, assorbito però dallo stesso cardinale Giuseppe Siri che alla fine lo aveva protetto e supportato nelle sue iniziative, Bonelli andrò sempre d’accordo. Ma ebbe come collaboratore stretto, in particolare  nell’organizzazione delle campagne elettorali,  Dino Gallo, a sua volta consigliere provinciale e dirigente della Dc, uomo di grande equilibrio e di grande saggezza.

Non cercava grosse cariche: fu a lungo nel consiglio della Cassa di Risparmio di Genova, altro braccio secolare di Taviani e solo una volta tentò la candidatura alla Camera, ma non ce la fece. Era potente ma lavorava con molta discrezione. Era noto per i suoi contatti rari e freddi con la stampa di allora. Una vicenda in particolare lo aveva abbattuto.

Alla metà degli anni Novanta, quando crollò la cosiddetta Prima Repubblica fu denunciato  e arrestato con l’accusa di illeciti finanziari legati al partito. Ma non venne neppure rinviato a giudizio e prosciolto da ogni accusa in sede istruttoria. Ma fu una ferita mai rimarginata.

Con la fine della Dc si ritirò a vita privata, un po’ sdegnosamente. Nella sua casa di Carignano aveva un piano dedicato all’abitazione e un pianterreno usato come studio e ufficio. Aveva ricostruito un archivio ricchissimo di documenti, giornali, riviste una sorta di storia dell’economia e della politica di quasi mezzo secolo. Passeggiava, vedeva un numero limitato di amici. Gli va riconosciuto che non mutò mai casacca e rimase fedele alle scelte politiche della sua vita che difendeva con puntiglio se capitava di doverne parlare o discutere.

A lui toccò tessere le sottili trame della vita comunale soprattutto da Pertusio negli anni Cinquanta sino a Piombino alla metà degli anni Settanta. Ma tenne duro, anche quando Taviani non era più ministro, su tutti i fronti della regione a livello locale, collegando le pedine più importanti in provincia, in Comune e in Regione (dove nel 1970 aveva tenuto a battesimo il primo presidente Gianni Dagnino che poi ritrovò più tardi alla Cassa di Risparmio).

Ma Bonelli non perdeva i contatti anche con i più piccoli comuni, grazie alle sue squadre di attivisti che tenevano in piedi anche le sezioni del partito. Questo gli consentì di far tornare la Dc e i suoi alleati in tutte le amministrazione alla fine degli anni Ottanta e non perdere del tutto i controlli anche nel momento della grande crisi di “mani pulite” della prima metà degli anni Novanta.

Anche quando non era più segretario di un partito che non c’era più, grazie alla sua trattativa, riuscì a collocare tra il 1994 e il 2000, Giancarlo Mori alla presidenza della Regione e a sostenere come sindaco Beppe Pericu. Furono i suoi ultimo colpi: non a caso uno dei suoi soprannomi era “il gatto” per la sua abilità e agilità mentale. Era un uomo da cene segrete e da “caminetti”. Tanto è vero che diffidava della politica fatta di slogan, di battute e di social network.

Era un uomo d’una certa epoca, ma, piaccia o non piaccia, è stato molto più importante e influente di quanto forse la sua immagine pubblica facesse supporre. Lascia la moglie, due figli, i nipoti. Ha chiesto un funerale riservato e con pochi amici. Non è venuto meno alla sua personalità neppure nell’ultimo istante.

Paolo Lingua