Lo zig zag del governo e dei partiti dalla politica internazionale alle elezioni regionali
di Paolo Lingua
Un cittadino medio fa davvero fatica a seguire i movimenti del governo al livello della politica internazionale passando per le scelte di politica interna sino alle prospettive elettorali della presunta “prova del fuoco” delle prossime regionali di fine mese. La realtà, in parole povere, è che i partiti sono fragili e poco controllabili e che i leader sono a loro volta personalità deboli e sovente contraddittorie nelle loro scelte e nei loro comportamenti. Come qualche notista acuto e raffinato ha osservato in questi giorni e nei giorni scorsi, il presidente del consiglio Conte e il ministro degli esteri Di Maio hanno saltato da un incontro all’altro, non si capisce bene se d’accordo oppure in una sorte di corsa competitiva, senza raccogliere granché sul piano dei risultati nella difficile contesa tra fazioni nella Libia, quando poi un obiettivo (quello della tregua provvisoria) è stato raggiunto da Turchia e Russia, anche con l’appoggio di Francia e Germania.
L’Italia insegue un po’ tutti in affanno e essere presente ai tavoli della discussione, anche perché il nostro paese ha forti interessi in Libia (petrolio ed energia) e non sempre, anche con i governi passati, ha avuto la lucidità di difenderli in maniera adeguata. E non è facile capire come si metteranno le cose nelle prossime settimane. Mentre la situazione diplomatica internazionale si ingarbuglia, non si semplificano le questioni sulle quali i partiti al governo discutono, da posizioni differenti, sulle scelte di governo da rendere operative.
I punti interrogativi – e non sono questioni da poco – si infittiscono sui temi più disparati: sulla revoca delle concessioni autostradali ad Aspi Pd e renziani hanno opinioni opposte ai grillini; sulle grandi opere, ancora una volta, grillini e Pd non la pensano alla stessa maniera; non s’è risolto il contrasto sulla riforma dei processi e sulla prescrizione che vede ancora una volta distanti Pd e M5s con un nettissimo “no” dei renziani; ci sono poi questioni ancora irrisolte come la gestione dei migranti e la loro accoglienza, nonché, saltando da un argomento all’altro, la questione della “quota cento” per i collocamenti in pensione.
Sul piano delle strategie interne poi i partiti del governo hanno situazioni del tutto differenti. In casa di Pd si annuncia, subito dopo le elezioni regionali, una ristrutturazione radicale del partito nella prospettiva di cambiare addirittura nome. E’ una prospettiva operativa tesa ad allargare le maglie delle adesioni di una base rinnovata che però offrono ad alcuni osservatori l’impressione d’uno spostamento a sinistra del partito: il che ha provocato una netta posizione critica di Matteo Renzi che, per molti aspetti, tenderebbe ad allargarsi verso il centro a spese di Forza Italia. Resta confusa e contrastata la situazione all’interno del M5s con dissidenti più o meno manifesti, dimissioni, sortite e critiche che rendono più debole la posizione di Luigi Di Maio come leader.
Inoltre non si comprende ancora chiaramente come si schiererà la sinistra alle regionali dell’Emilia Romagna e della Calabria: grillini e Pd andranno insieme con un unico candidato oppure correranno per conto loro con il M5s che sceglierà i candidati sulla misteriosa piattaforma Rousseau di Casaleggio? E come si metteranno le cose dopo le elezioni sulla base degli esiti? È un interrogativo che, al di là d’una non impossibile crisi di governo, coinvolge in pieno la Liguria che sarà l’ultima regione alla prova del voto (in mezzo ci saranno anche Toscana e Puglia) anche per via dei contenuti: politica autostradale, ristrutturazioni portuali, Gronda. Si è quasi stanchi di ripere sempre le stesse cose di cui si parla all’infinito ma anche non diventano mai realtà. Ne viene fuori una immagine assai fragile dell’Italia politica.
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