Le contraddizioni della ripartenza
di Paolo Lingua
Il governo, nelle ultime settimane, non sempre è stato un modello di chiarezza per quel che riguarda le regole di riapertura e di ripartenza delle imprese industriali, commerciali e artigiane. Ma, nel loro piccolo (si fa per dire) anche le regioni non hanno brillato per coerenza. Ora siamo nella settimana della semi-ripartenza che dovrebbe dischiudere poi, dal 18 maggio, un sistema di riaperture “quasi” totale, per arrivare all’assoluto “via libera” dal 1° giugno, salvo eventuali dietrofront (sempre possibili). Diciamo la verità. Non siamo di fronte a un modello brillante e soprattutto improntato alla chiarezza. E questo rende possibili molti comportamenti, a volte criticabili, dei cittadini. In realtà a livello romano c’è una voglia di ripartenza, anche per rispondere alle istanze di imprese di ogni livello che rischiano la crisi e la chiusura definitiva, ma questo impulso è frenato dal timore che la discesa dell’infezione da coronavirus non sia così rapida come tutti spererebbero, per non parlare del rischio – che i medici specialisti di tutta Italia temono e non nascondono - d’un ritorno dei contagi.
Ecco perché il governo, e il premier Giuseppe Conte in primis, è prudente sull’acceleratore e tende a lavorare attento di freno e di frizione. Un atteggiamento che di fatto le regioni (in particolare quelle di centrodestra) non condividono perché sono pressate dalle categorie economiche e al tempo stesso i presidenti e gli amministratori locali sono alla ricerca di consensi e di appoggi. Anche – e soprattutto – in vista delle elezioni autunnali che si presentano un po’ dovunque all’insegna dell’incertezza.
La Liguria ne è un esempio tra i più vistosi, con il presidente Giovanni Toti che sembra sempre più inquieto, soprattutto sul piano della comunicazione, abbondante ed eccessiva. In Liguria infatti non è ancora chiaro come, a partire dal 18 maggio, ripartiranno bar, ristoranti e parrucchieri e istituti di estetica e di bellezza. In teoria sono già stati autorizzati a predisporre le loro strutture in maniera da non fare correre alcun rischio ai clienti, ma, in particolare per certi bar e ristoranti, ci sono molti dubbi su come dislocare le distanze. Infatti, accanto ad alcune manifestazioni di entusiasmo e di impazienza, non sono mancati e tutt’ora non mancano atteggiamenti di prudenza e di preoccupazione. I titolari di molti locali, in particolari quelli di maggior livello o più richiesti che lavorano in particolare alla sera, hanno espresso tutti i loro dubbi, perché, sulla base di ancora incerte disposizioni, dovrebbero rinunciare a due terzi della loro clientela, lasciando fuori tutti i pranzi e le riunioni che hanno un certo numero di partecipanti. Discorso che, sia pure in contesti differenti, vale per molti bar specializzati in aperitivi serali o per brunch di mezzogiorno.
Resta ancora sospeso il discorso degli stabilimenti balneari, dove la riorganizzazione è complessa, al punto tale che alcuni sembrano inclini ad accogliere solo gli abbonati per essere certi sulle presenze da disporre secondo le regole più severe. Alcuni sarebbero inclini a non riaprire, perché temono (per via di continue disdette) le presenze di italiani di altre regioni e degli stranieri, ma, per via della “terribile” legge Bolkestein, sono comunque obbligati a riaprire per non perdere la concessione che in Italia dovrebbe essere prorogata di altri 15 anni.
Emergono altri dubbi sulla frequentazione delle seconde case. In teoria è possibile recarsi per controlli e manutenzioni ma non ci si può pernottare. E’ permesso andare in cerca di funghi, anche se non è ancora la stagione.
Poi ci sono molti interrogativi sulla riapertura degli alberghi che potrebbero essere frequentati solo per motivi di lavoro e non da clienti turistici provenienti da fuori regione. Anche in questo caso molti sembrano poco inclini a riaprire.
Siamo di fronte a non poche confusioni normative, con le regioni che non aiutano a chiarire le non poche contraddizioni dei decreti del governo, anzi tendono a complicare comportamenti e interpretazioni, per non parlare di minacce e ricorsi ai Tar regionali per annullare disposizioni locali, come è già avvenuto per la Calabria. Si attende
La videoconferenza tra il governo e le regioni più ansiose di ripartenza, in particolare quelle dove si voterà in autunno, con i partiti e i potenziali candidati a caccia di consensi e di preferenze, comunque pressati da imprese e categorie con l’acqua alla gola alla vigilia d’un pesante crisi economica. E’ indubbio che molte spinte “in avanti” sono ormai più forti della paura per il coronavirus. Ma alla fin dei conti è un comportamento saggio? O è la fede irrazionale di chi si aspetta un miracolo?
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