La riapertura delle Chiese
di Paolo Lingua
Quando era stata diffusa la normativa della cosiddetta “fase 2” era scattato un momento di frizione tra il governo e la Cei. Si andava, sia pure per gradi, verso una serie di riaperture, ma le manifestazioni religiose (messe, comunioni, funerali) restavano “off limits”. La Chiesa, anche indirettamente per bocca dello stesso Papa Francesco, si era risentita. Di qui il recupero, un po’ affannoso, dello stesso premier Giuseppe Conte al fine di evitare nuovi elementi di scontro e risentimenti (anche strumentali) da parte dell’opposizione e di alcune delle forze di governo. Così dal 18 maggio si potrà assistere alla Messa, ricevere la Comunione con tutta una serie di accorgimenti e assistere ai funerali religiosi, sia pure in un numero non superiore alle 15 persone. E’ più che probabile che, salvo sorprese legate alla diffusione del coronavirus, si allargheranno le maglie nelle settimane successive. Lo stesso discorso che sarà valido per la chiesa cattolica avrà eguale valenza per le altre chiese cristiane (ortodossi, protestanti, ecc.) e per le comunità ebraiche; avrà poi i diversi aggiustamenti specifici per le attività religiose e rituali che sono peculiari dell’Islam.
Al di là dei tatticismi politici del governo, sempre alla ricerca (o al recupero) di consenso nell’opinione pubblica, la ripresa, sia pure con limiti quantitativi di partecipazione, della vita religiosa assume certamente un significato positivo anche sul piano psicologico. In un momento di grave crisi sociale e di forti timori per la diffusione del contagio del coronavirus, il recupero di un contatto diretto della popolazione con quanto attiene al sentimento diffuso di speranza e di salvezza che è sempre collegato alla fede, è certamente una spinta positiva con una ricaduta sia sui fedeli sia su chi non ha una vita di pratica religiosa.
Il Presidente della Cei e molti vescovi, nei giorni scorsi, hanno fatto notare, non infondatamente, che una partecipazione, con tutte le attenzioni e le prevenzioni possibili, alle pratiche religiose non è certo più a rischio contagio del viaggiare in bus o in treno o comunque a partecipare ad attività di lavoro. Naturalmente ora occorrerà capire, ma il discorso va al di là del provvedimento in questione, se queste riaperture parziali della vita “normale” eviteranno riprese della diffusione dei contagi e dell’infezione che, per la verità, salvo qualche isola ancora tenace, sono in calo, anche se non veloce come vorremmo tutti. Non a caso molti specialisti sanitari ed esperti di epidemiologia non cessano di raccomandare la prudenza e la distanza sociale. Proprio mentre viene dato il “via libera” alla Chiesa, emergono altre pressanti richieste da parte di un po’ tutte le attività economiche che sono ancora nel limbo dei controlli e del blocco operativo, con un particolare riferimento, con mille contraddizioni e controproposte, differenti a seconda delle regioni, al tormentato settore del turismo per il quale si profila, per forza di cose ineluttabile, una stagione di pesante crisi, tanto è vero che molti operatori tra i maggiori stanno esaminando seriamente l’ipotesi di non riaprire perché le perdite, dovendo tagliare tre quarti del potenziale recettivo disponibile, sarebbero insopportabili.
Un problema che, per fortuna, non coinvolge la liturgia della Chiesa. Anzi, va sottolineato che da parte dei vertici vaticani e delle singole diocesi e parrocchie, oltre che delle associazioni solidaristiche, si è continuato a fare assistenza e solidarietà a tutti i livelli, sia per quel che riguarda i colpiti dal virus, sia per quel che concerne le condizioni di chi, rimasto senza lavoro, è precipitato nell’indigenza. Una azione di carità che proseguirà con maggiore impegno anche dopo la riapertura della vita liturgica.
In realtà, le settimane immediate che ci attendono sono forse il banco di prova di quello che potrà avvenire su tanti fronti. Il timore per la salute collettiva e le apprensioni economiche e sociali ci stanno mettendo a dura prova. Ma anche la fede ci può aiutare a resistere. “Spiritus durissima coquit”.
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