La pesante trattativa fra il governo e l'ArcelorMittal
di Paolo Lingua
Gran brutta storia quella dell’ex Ilva, acquisita e poi “rifiutata” (o ridimensionata strumentalmente? Vallo a capire) dopo confusi incontri e trattative con il governo, mentre i sindacati, esasperati, sono di fatto costretti ad annunciare un primo (ma ne seguiranno altri) sciopero generale il prossimo 10 dicembre. La vicenda non è ancora del tutto chiara. Al di là degli esiti delle trattative di questi ultimi giorni, viene da chiedersi se Arcelor Mittal ha acquistato l’ex Ilva solo per usarla ridimensionata a costi dimezzati, oppure se l’obiettivo era di acquistarla per chiuderla, come del resto ha fatto la potente sovranazionale della siderurgia anche in passato, in molti Paesi del mondo. E il Governo italiana ha sbagliato, sul piano della trattative diplomatica, a istituire e poi a sopprimere due volte lo scudo penale per i dirigenti? Parlamoci chiaro: se la sovranazionale franco-indiana voleva chiudere o tagliare pesantemente gli organici dell’azienda italiana, è ovvio che lo scudo penale non aveva una grossa importanza, ma comunque, e questa è colpa pesante dell’ideologica dei grillini, è stato un grave errore diplomatico e il Pd, che non era d’accordo con il M5s, ancora una volta ha ceduto alla pressione degli alleati. Una sfilza di errori, frutto di fragilità dei rapporti tra alleati, ma anche di mancanza di prof4essionalità in trattative delicate come questa. Inutile dire che era stato molto più bravo l’allora ministro Calenda, due governi fa. Ma ormai è acqua passata. Ora, occorre rifare i conti che sono decisamente pesanti. Da qui al 2023, a stare alle richiesta di Arcelor Mittal, negli stabilimenti italiani dell’ex Ilva, dovrebbero uscirà una buona metà degli attuali occupati. Un colpo di scure pesantissimo per Taranto, ma che coinvolgerà anche Genova e Novi Ligure. I quasi 5 mila posti di lavoro effettivi (cui andranno aggiunti quelli che tutt’ora sono in cassa integrazione) saranno una decurtazione del 50% e forse anche di più. Di fronte a questa posizione quasi provocatoria assunta dai vertici della multinazionale siderurgica non si comprende se siamo alla vigilia d’una rottura completa dell’accordo e d’una posizione strumentale, mentre sul fronte del sindacato di parla di “massacro”. Il Governo da parte sua, oltre agli errori pesanti che sono stati il preludio alla trattativa, sembra in assoluto imbarazzo. C’è chi auspica una nazionalizzazione parziale o totale dell’azienda, ma non si comprende con quali strategie per il futuro e chi, ma questa tesi appare assai più fragile, d’un possibile recupero di altro socio privato, ma non va dimenticato che al momento della prima trattativa di cessione i possibili altri competitors si erano squagliati a cominciare da quelli italiani. In realtà, dopo la prima grande fase storica in cui l’ Ilva era Italsider ed era controllata dalla Finsider del gruppo Iri, ceduta poi al gruppo privato Riva e poi finita in regime commissariale, l’azienda è stata trascurata sotto molti aspetti e, in particolare, poco o nulla è stato fatto per migliorare la situazione ambientale (assai preoccupante per la diffusione di tumori e malattie respiratorie tra i dipendenti e la popolazione residente) soprattutto di Taranto. In pratica la produzione di è ristretta e l’occupazione è scesa, anche con la chiusura degli stabilimenti di Bagnoli e di Piombino, mentre sono esplose le polemiche da parte di chi, in Puglia a cominciare dal presidente della regione Emiliano e del M5s, puntava alla chiusura delle acciaierie. La polemica su questo tema è ancora viva, mentre, sia con il governo giallo-verde e anche con l ‘attuale, non si è mai raggiunta una linea e una strategia d’azione coerente e continuativa. Ora si vivranno settimane, o meglio mesi, di confusione e di contraddizioni, mentre proseguiranno le azioni giudiziarie e i sindacati dovranno impegnarsi in una dura battaglia di cui non è facile individuare la conclusione. Ancora una brutta storia all’italiana.
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